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Ruby Ter, ecco perché sono stati tutti assolti. Ma i pm pensano già al ricorso

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Sono state depositate le 197 pagine di motivazioni della sentenza con cui il 15 febbraio il tribunale ha assolto Silvio Berlusconi, Karima El Mahroug detta ’Ruby’ e gli altri 27 coimputati accusati a vario titolo di corruzione in atti giudiziari, falsa testimonianza, false informazioni ai pm, riciclaggio e favoreggiamento della prostituzione. Le ragazze avevano «diritto al silenzio» e agli avvocati. Non hanno «mai acquisito l’ufficio pubblico di testimone» e, se non c’è un testimone, non c’è nemmeno la corruzione per indurlo a dichiarare il falso. La parola fine al processo ’Ruby ter’ - ma forse a un’intera stagione giudiziaria - la mettono in punto di diritto i giudici della settima sezione penale del tribunale di Milano.

 

Per il collegio composto dai giudici Marco Tremolada (presidente), Mauro Gallina e Silvana Pucci, durante i processi Ruby 1 a carico dell’ex presidente del consiglio (concussione e prostituzione minorile) e Ruby 2 (favoreggiamento della prostituzione per Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti) per ognuna delle 21 ragazze ospiti delle cene di Arcore che testimoniarono in aula, c’è stata una «omissione di garanzia» che ha «irrimediabilmente pregiudicato» le ipotesi di reato da cui è scaturito il terzo filone processuale.

Per fare un esempio Karima ’Ruby’ non avrebbe mai potuto dichiarare in aula di essersi inventata «tutto» a cominciare dalla frase intercettata al telefono «mi coprirà d’oro se io faccio la pazza, fingo di essere pazza». Le sue affermazioni - come quelle delle coimputate - avrebbero assunto «valore giuridico di testimonianza» solo se «avessero deciso, consapevolmente perché assistite da un difensore e avvisate del diritto al silenzio, di rendere dichiarazioni sulla responsabilità altrui». Nessun «sofisma», assicurano i giudici, ma la necessità di «ripristinare» un «ordine di garanzie violato» che «diversamente avrebbe tradito l’essenza dello Stato di diritto».

 

Motivazioni che riecheggiano per pagine e pagine e a cascata - o, per utilizzare il linguaggio dei magistrati, per una «concatenazione normativa» - hanno fatto crollare l’impianto accusatorio: se Ruby non è mai stata «pubblico ufficiale» il suo avvocato Luca Giuliante non può aver concorso nella «corruzione in atti giudiziari». Così tutti gli altri - ognuno per la propria imputazione - dall’ex fidanzato di El Mahroug, Luca Risso, a Marysthell Polanco passando Barbara Faggioli, Barbara Guerra, Carlo Rossella.

La Procura di Milano rappresentata dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Luca Gaglio - entrambi estranei ai fascicoli e alle testimonianze delle ragazze all’epoca dei fatti - è pronta per il ricorso in appello. Hanno 45 giorni di tempo per tornare sul tema dell’utilizzabilità di quelle dichiarazioni: nel 2016-17 due diversi Gup diedero ragione all’accusa con motivi opposti a quelli stabiliti in sentenza. 

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