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Firenze, ragazzo di destra minacciato di morte e costretto a cambiare scuola

Christian Campigli
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«Hanno creato un clima infame». Un’accusa, quella pronunciata da Bettino Craxi nel 1992 uscendo dalla casa di Sergio Moroni, il dirigente del Psi suicidatosi dopo aver ricevuto due avvisi di garanzia, che ben si confà all’aria che si respira in questi giorni a Firenze. Basti pensare che uno degli attivisti di Azione Giovani coinvolti nella rissa di sabato scorso di fronte al liceo Michelangiolo è stato minacciato di morte. Prima, con delle scritte. Apparse sul muro posto di fronte all’ingresso della sua classe (e cancellate dalla scuola alla velocità della luce). Poi con degli sguardi, dei gesti orrendi da rivolgere ad un diciassettenne, come ad esempio il coltello che taglia la gola. Infine con delle urla, sguaiate, lanciate dal branco contro il minorenne durante la ricreazione. Una situazione divenuta intollerabile. Alla quale va sommato l’atteggiamento di un insegnante che gli avrebbe promesso la bocciatura «per 5 in condotta». Così i genitori hanno deciso di fargli cambiare aria. E soprattutto scuola. Da qui ad un paio di giorni verrà presa la decisione sul dove far terminare l'anno scolastico al loro primogenito. Con ogni probabilità, verrà scelto un istituto pubblico, in un comune dell’hinterland fiorentino.

 

 

 

Una vicenda che obbliga ad analizzare con maggiore attenzione un episodio accaduto durante la manifestazione di martedì scorso. Prima dell’inizio del corteo, un attivista dei Collettivi ha preso la parola e, con un megafono, ha lanciato un messaggio agghiacciante. «Vogliamo rivendicare di aver fatto girare la foto di quegli stronzi. La faccia di quei pezzi di merda deve essere conosciuta da tutti. Si devono riconoscere quando vanno a prendere il caffè. Quando vanno a fare la spesa. Quando vanno sulla tramvia. Perché quel peso se lo devono sentire addosso». Un corto circuito, quello tra scuola e politica, sul quale ieri è intervenuto anche il ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Valditara, che ha commentato con parole chiare e nette il messaggio lanciato dalla preside del liceo Leonardo da Vinci. «È una lettera del tutto impropria, mi è dispiaciuto leggerla, non compete ad una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà. Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico non abbia più posto nelle scuole». Parole dense di buon senso, che, ovviamente, non sono piaciute ai "compagni". Che hanno gonfiato il petto e difeso a spada tratta la dirigente Annalisa Savino. Interminabile la lista delle reazioni: si va dal sindaco Dario Nardella fino ad Enrico Letta, da Elly Schlein al presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo. Tutti convinti che esista il pericolo fascista in Italia. Tutti pronti a condannare i sei ragazzi di Azione Giovani, nonostante le indagini siano ancora in corso e, proprio ieri, sia emersa la testimonianza di un professore del "Miche", che ribalta completamente la prospettiva. «Hanno cominciato i Collettivi. I ragazzi della destra stavano dando volantini, sono usciti quelli dei Collettivi e hanno cominciato ad insultarli e a spintonarli». Un punto di vista che demolirebbe, in un istante, lo storytelling secondo il quale vi sarebbe stata un’aggressione «dei fascisti». Un quadro che evidenzierebbe più la rissa che la violenza privata. L’ennesima dimostrazione che alzare i toni, strumentalizzare e dare giudizi tagliati con l'accetta in questo momento non solo è sbagliato. Ma è anche decisamente pericoloso.
 

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