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Open Arms, la rotta verso la costa libica, la soffiata e la virata che incastrano l'Ong

Dario Martini
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Chi segnalò alla Open Arms l’esatta posizione del barcone con i migranti a bordo? È stato appurato che non furono le autorità libiche, e nemmeno quelle italiane o europee. Allora chi fornì quell’informazione alla Ong spagnola? Dall’informativa della Marina Militare, tenuta nascosta fino ad oggi ai legali di Matteo Salvini, emerge un dato chiaro: Open Arms non si imbatté per caso nei migranti. Qualcuno gli comunicò il punto preciso dove andare. Fu un «soggetto terzo», ancora «ignoto», come si legge nella relazione di servizio a firma dell’ufficiale di polizia giudiziaria Andrea Pellegrino. I legali dell’allora ministro dell’Interno, oggi a processo a Palermo per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio, vogliono vederci chiaro. Soprattutto, vogliono sapere se a fare quella segnalazione furono gli scafisti.

Ma andiamo con ordine. La lettura dell’informativa ci permette di comprendere meglio il modus operandi nel Mediterraneo delle Ong. In questo caso particolare, della Open Arms. Era il primo agosto 2019. Un sottomarino della Marina Militare, il sommergibile Venuti, alle tre di notte riscontra la presenza della Ong, battente bandiera spagnola, a «circa 80 miglia nautiche a sud di Lampedusa», ovvero a circa 148 km dall’isola italiana. Viaggia a una velocità di 5.2 nodi. Cinque ore dopo, alle otto del mattino, è in «fase di avvicinamento alle coste libiche», quando inizia ad accelerare «fino a 11.2 nodi». A questo punto, il sottomarino registra una «comunicazione audio» in spagnolo. «Un dialogo», si legge nell’informativa, o uno «scambio di informazioni» tra «un soggetto parlante (non identificato) riconducibile a una persona probabilmente a bordo della Ong e un secondo soggetto (anch’esso non identificato la cui voce non è particolarmente chiara)». La conversazione avviene su un canale commerciale (VHF6), in un momento in cui nella zona non c’è nessun altro. Infatti, il sommergibile «presente nell’area visualizza all’orizzonte soltanto la Ong e nessun altro assetto aeronavale civile e/militare». Motivo per cui, l’ufficiale di polizia giudiziaria deduce che «i due soggetti in comunicazione si trovino a distanze ravvicinate». Quasi tre ore dopo, alle 14,45, appare, nella stessa zona, il barcone con una cinquantina di migranti a bordo. Si tratta di «una piccola imbarcazione in legno con lo scafo di colore blu», in chiaro «avvicinamento alla Ong. La Open Arms è pronta a fare il trasbordo. In un attimo due gommoni si staccano dalla nave e si muovono in direzione del barca con i migranti. Vengono consegnati i salvagenti. È passato solo un minuto, sono le 14.46. I profughi vengono fatti salire sui gommoni e, da lì, sulla nave. Un’ora dopo, alle 17,40, appare in cielo un aereo lussemburghese che pattuglia la zona nell’ambito dell’operazione europea Sophia. Alle 18.25, la Ong se ne va in direzione nord-est, «lasciando il barcone alla deriva senza nessuna persona a bordo». Il sommergibile continua a seguire l’Open Arms. Alle 19,58, dopo un’ora e mezza dal recupero dei migranti, la Ong si imbatte in un pattugliatore libico, il «Fezzan», con a bordo altri migranti soccorsi in operazioni precedenti. L’Open Arms e il Fezzan si avvicinano, ma non accade nulla. Dopo un quarto d’ora, viene notata «una colonna di fumo proveniente dal barcone» lasciato alla deriva.

 

 

 

La polizia giudiziaria trae una serie di conclusioni. 1) In quella zona «le autorità libiche stavano già effettuando attività» di salvataggio «a favore di due gommoni» segnalati dall’aereo dell’operazione Sophia. 2) Le autorità libiche non hanno coinvolto la Open Arms nel salvataggio del barcone blu. 3) Si ritiene «che la Ong abbia di fatto agito in maniera autonoma e senza interfacciarsi con le preposte autorità di soccorso cui compete il coordinamento delle attività». 4) La nave della Ong «senza alcun apparente motivo ha modificato rotta e velocità fino ad intercettare con successo il barcone» con i migranti che poi ha recuperato. 5) «La Ong si trovava, al momento in cui cambiava rotta e velocità, a una distanza ottica/radar dalla quale non era in grado di poter visualizzare il barcone». Quindi, viene sottolineata «la possibilità che la posizione sia stata "passata" alla Ong da terzi (ignoti)». 6) Il barcone non era in pericolo, perché aveva «una capacità propulsiva significativa e idonea a fronteggiare situazioni di emergenza o avarie». A questo punto diventa decisivo determinare chi «passò» la posizione del barcone alla Ong. Salvini pretende chiarezza: «Si trattava di uno sfafista?». Poi, bisognerà capire come mai la relazione della Marina sia saltata fuori solo adesso. «Tre anni dopo!», ricorda esterrefatto il vicepremier, quando «era sul tavolo di nove procure» e non è mai stata trasmessa «né al Tar del Lazio (che bocciò il divieto d’ingresso in acque italiane per la Open Arms), né ai miei difensori, né al Parlamento che decise di mandarmi alla sbarra, né al gup». Motivo per cui Salvini si dice certo che «il guardasigilli Carlo Nordio saprà approfondire una vicenda grave e scandalosa».
 

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