L'Italia blocca l'estradizione chiesta da Mosca di una russa accusata di omicidio plurimo e di un regista ucraino
Comincia a incrinarsi anche l’asse della cooperazione giudiziaria in materia penale tra Italia e Russia. Ieri sono state bloccate le estradizioni verso la Federazione presieduta da Putin di una cittadina russa e di un regista ucraino residenti nel nostro Paese, per il rischio di violazioni dei diritti fondamentali in carcere, anche alla luce del conflitto in Ucraina. La donna è imputata in Russia per omicidio colposo plurimo, in relazione ai decessi avvenuti in una clinica privata a seguito di interventi in cui sarebbero stati utilizzati farmaci nocivi per la salute, acquistati dal comparto amministrativo in cui lavorava come funzionaria. Nei suoi confronti il tribunale di Meshchanskly aveva emesso, nel febbraio 2021, un mandato di cattura: la donna era stata quindi arrestata a giugno.
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La Corte d’appello di Milano aveva ritenuto «sussistenti» le condizioni per accogliere la domanda di estradizione avanzata da Mosca, ma la sesta sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio la decisione dei giudici milanesi, che ora dovranno riesaminare il caso con riguardo al «trattamento carcerario» a cui la donna andrebbe incontro (rischia una condanna a 5 anni di lavori forzati o 10 anni di reclusione); nonché alle sue condizioni di salute, visto che è sottoposta a cure mediche. La Suprema Corte osserva che, oltre al «pericolo di trattamento carcerario in violazione dei diritti fondamentali», «si rilevano ancor più pregnanti con riferimento ai recenti drammatici sviluppi degli eventi bellici in Ucraina».
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Per la stessa ragione la Corte di Appello di Napoli ha respinto l’estradizione in Russia per il regista ucraino Yevhen Lavrenchuk, che era stato colpito da mandato di arresto internazionale emesso dal tribunale di Mosca a luglio 2020 con l’accusa di truffa aggravata. I giudici di Napoli hanno «considerata la situazione politica tra Russia e Ucraina» il regista «potesse essere sottoposto ad atti discriminatori per motivi politici», anche per le «posizioni politiche contrarie al governo russo già in passato assunte da Lavrenchuck nella crisi di Crimea».
Anche i russi, a questo punto, potrebbero negare l’estradizione agli italiani residenti sul loro territorio su cui pende un mandato di cattura o che sono stati condannati nei nostri tribunali. Per esempio, è cominciato il 7 marzo scorso a Roma il processo di primo grado nei confronti di Nicola Di Mauro, conosciuto a Ostia come il rampollo del boss Carmine Fasciani, ex direttore del «Faber Village». Di Mauro, 41 anni, è l’unico scampato al blitz della Finanza che nel 2014 aveva portato all’arresto di 15 persone affiliate al clan Fasciani con l’accusa di associazione di stampo mafioso finalizzata al controllo di stabilimenti balneari, ristoranti e negozi. Di Mauro lavora ormai da 9 anni come chef in una famosa catena di pizzerie russa. «Le precendenti richieste di estradizione sono state respinte e ora non è pendente alcun mandato di cattura. Alla luce dell’attuale situazione diplomatica, un’eventuale nuova richiesta rischia di cadere nel vuote», commenta il suo avvocato Daniele Francesco Lelli.
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