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Mauro da Mantova e la lapidazione di Cruciani, ma non dovevamo uscirne migliori?

Arnaldo Magro
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]l 28 dicembre è morto in ospedale a Verona Maurizio Buratti, 61 anni, meglio conosciuto come «Mauro da Mantova», personaggio del bestiario radiofonico de «La zanzara», il programma condotto da Giuseppe Cruciani per Radio24. Buratti aveva contratto il Covid ed era stato ricoverato agli inizi di dicembre, con un peggioramento rapido e progressivo che lo ha portato alla morte.

 

A questo punto è iniziato un generale crucifige all’indirizzo di Cruciani, come se fosse lui il mandante morale di un omicidio, quando è stato proprio lui quasi, a costringere Buratti a ricoverarsi in ospedale. 

Posto che, come confermato dallo stesso Cruciani, non è all’ordine del giorno un’eventuale chiusura de «La zanzara» nonostante le numerose richieste, c’è un fondo inquietante in ciò che si è scatenato dopo la morte di Buratti. 

 

Passi anche che la morte di Buratti venga utilizzata per confermare, che il vaccino è l’unica forma di salvezza. Un po’ cinico, ma siamo in guerra ci hanno detto. Ma se un medico deride il paziente che si ammala, se ci si spinge a gioire per la morte di qualcuno, foss’anche il più irresponsabile dei no-vax, con la solita frase de «se l’è cercata», allora qualcosa si è rotto nel nostro tessuto sociale, nel nostro senso di comunità.

E la scienza è diventata l’unica regolatrice della difesa della vita come puro dato biologico, senza ulteriori implicazioni religiose, sociali, politiche, antropologiche.
Come dicevamo quando iniziò questo tunnel buio, a febbraio 2020? Ne usciremo migliori. Sì certo. Come no?
 

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