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Ma quale quarta ondata... È più un'ondina. Morti, contagi, ricoveri: due anni di Covid a confronto

Dario Martini
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Super green pass, vaccini per i bambini, mascherine anche all’aperto, zone gialle che iniziano a tornare in alcune regioni. E poi l’allarme sull’aumento dei contagi che potrebbe rovinarci un altro Natale. Eppure, se leggiamo con attenzione i dati diffusi periodicamente dall’Istituto superiore di sanità, scopriamo che questa quarta ondata assomiglia di più a un’ondina.

Abbiamo confrontato l’ultimo bollettino di sorveglianza dell’Iss, che prende in esame il periodo dal 20 ottobre al 24 novembre 2021, con quello di un anno fa, che va dal 20 ottobre al 25 novembre 2020, quando il Covid era tornato a colpire con forza dopo la "pausa" estiva. 

 

Come si vede dalla tabella pubblicata in queste pagine, nell’ultimo mese sono stati registrati 225.977 contagi. Un anno fa erano 1.034.770, quasi cinque volte di più. La differenza salta ancora di più all’occhio se guardiamo alla casella dei decessi: 1.775 nel 2021, 13.290 nel 2020, oltre dieci volte di più. Anche la percentuale dei decessi sul totale dei casi mostra differenze evidenti, anche se non così marcate: 1,28% un anno fa, 0,78% quest’anno. «Questi dati dimostrano l’efficacia della campagna di vaccinazione - commenta Massimo Andreoni, direttore di Malattie infettive all’Università di Tor Vergata di Roma - Il vaccino non ci dà la certezza di non prendere il Covid, ma protegge comunque al 60% dal contagio. In questo modo si riduce sensibilmente la trasmissione del virus. I dati dell’Iss da voi riportati sono anche il segnale che quest’anno c’è stata maggiore attenzione alle misure di contenimento. Dal green pass all’utilizzo più esteso dei tamponi.<ET>Anche se devo fare un critica: ha poco senso introdurre solo adesso l’obbligo delle mascherine all’aperto, quando viaggiamo su una media di quindicimila casi al giorno. Bisognava farlo prima, alcune settimane fa, quando eravamo a cinquemila al giorno».

 

Il Covid è una malattia che mette a rischio soprattutto gli anziani. Ormai è una certezza acquisita. Infatti, anche nell’ultimo mese, il maggior numero di decessi si registra nella fascia tra 80 e 89 anni (684 tra il 20 ottobre e il 24 novembre), con un tasso di letalità in rapporto ai casi positivi del 7,5%. Nel 2020, invece, nel mese a cavallo tra ottobre e novembre, i decessi furono 5.516, pari al 9,4%. In questo caso, quindi, la differenza rispetto allo scorso anno non è così grande. «Se guardiamo gli ultimi bollettini, ci rendiamo conto che i decessi negli over 80 sono praticamente uguali tra vaccinati e non vaccinati - sottolinea Andreoni - ma dobbiamo anche considerare il denominatore, con i vaccinati che ormai in Italia sono molti di più dei non vaccinati. Invece, tra i soggetti più giovani vaccinati, e parlo da 60 anni in giù, i decessi per Covid sono un’eccezione. Mentre non è un caso raro tra i non vaccinati. Qualche giorno fa, ad esempio, qui a Tor Vergata è morto un 48enne che non aveva fatto il vaccino».

 

Per Matteo Bassetti, primario di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, però, i dati su cui dobbiamo concentrarci di più sono quelli che riguardano le ospedalizzazioni e gli ingressi in terapia intensiva, a cui i decessi sono inevitabilmente legati. «Guardare il dato dei contagi non conta molto, potrebbero essere anche uguali. Perché dipende da quanti tamponi venivano fatti nel 2020 e quanti quest’anno - spiega Bassetti - Il confronto con un anno fa che conta davvero è quello che riguarda le ospedalizzazioni e gli ingressi in terapia intensiva. Lì c’è una grande differenza. Sì, se vogliamo la possiamo chiamare "ondina", ma rimane pur sempre in lieve e costante aumento. Dobbiamo continuare a tenerla sotto controllo. 

Non c’è dubbio che la situazione sia diversa. Un anno fa avevamo picchi giornalieri anche di 1.000 ospedalizzazioni e 150 ricoveri in terapia intensiva. Quest’anno siamo arrivati a "punte" di 100 ricoveri non gravi e 10-15 in terapia intensiva, al netto tra ingressi e uscite».

Nonostante una situazione in netto miglioramento, l’Aifa ha appena dato l’approvazione al vaccino per i bambini da 5 a 11 anni. Alcuni virologi non sono d’accordo, e chiedono di aspettare. Ritengono che non ci sia alcuna emergenza e che non si conoscono ancora in rischi legati alla vaccinazione in questa fascia d’età. Nell’ultimo mese l’Iss ha registrato zero decessi tra 0 e 9 anni (tre nel 2020) e sempre zero decessi tra 10 e 19 anni (tre nel 2020). Più basso anche il numero dei contagi tra a 0 e 9 anni: 27.262 negli ultimi trenta giorni e 39.979 nello stesso periodo di un anno fa. Tra l’altro, l’anno scorso le scuole iniziarono a mandare gli studenti in Dad. «Però, se oggi guardiamo cosa sta accadendo, ci accorgiamo che la percentuale dei bambini contagiati sui casi totali è più alta rispetto alle altre fasce d’età - fa notare Andreoni - È vero che sono morti pochi bambini (nove decessi tra 6 e 11 anni da inizio pandemia, ndr), ma ci sono comunque stati e non li possiamo ignorare. Inoltre, la sindrome infiammatoria multisistemica è una realtà che non possiamo ignorare. Non è vero che i rischi dal vaccino sono più alti rispetto alla malattia. Come i bambini rischiano molto meno degli adulti se incorrono nella malattia, allo stesso modo la probabilità di eventi avversi da vaccino è più bassa rispetto ai più grandi. Funziona così in tutti i vaccini, non solo in quello contro il Covid».

Per Bassetti non ci sono dubbi: «Se oggi noi siamo messi meglio è perché molti ragazzi si sono vaccinati». L’infettivologo di Genova ricorre al paragone con il morbillo, per cui «in media abbiamo un decesso ogni 3.000 casi». 

 

Nel Covid, invece, «gli ultimi dati tedeschi pubblicati ieri ci dicono che la sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica si verifica in un caso su 4.000. Quindi, se diciamo sì al vaccino contro il morbillo non vedo perché non si debba fare altrettanto contro il Covid. È vero che nei bambini questo virus ha meno complicanze rispetto agli adulti, ma non è un raffreddore, resta una malattia infettiva.

Se tutte le associazioni pediatriche, anche a livello internazionale, sono favorevoli, non è un caso». Inoltre, «vaccinare i più piccoli ci permette di intervenire nelle scuole, luogo a più alta trasmissione del virus».

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