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La rivolta di medici e infermieri dei pronto soccorso: basta prese in giro dal governo

Antonio Sbraga
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La paura fa «90»: per cercare di tamponare la grande «emorragia» degli operatori sanitari, sempre più in fuga dai Pronto soccorso, il Ministero della Salute sta per definire una nuova indennità con lo stanziamento di 90 milioni di euro, appunto, per premiare i medici e gli infermieri che restano in prima linea. L’indennità è indicata nel pacchetto del Ddl di Bilancio che sta per essere trasmesso alle Camere: «Nell’ambito dei rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro è definita, nei limiti degli importi annui lordi di 27 milioni di euro per la dirigenza medica e di 63 milioni per il personale del comparto, una specifica indennità di natura accessoria da riconoscere in ragione dell’effettiva presenza in servizio con decorrenza dal 1° gennaio 2022». Una misura che, se approvata, i sindacati si augurano però con un’applicazione più chiara rispetto ai cosiddetti «premi-Covid», che tante polemiche continuano a suscitare. Come nella Regione Lazio, dove molti operatori sanitari «non hanno ricevuto l’indennità prevista all’esposizione al Covid a causa delle indicazioni regionali, o delle strutture sanitarie, per istruzioni incomprensibili ai professionisti sanitari», ha denunciato la responsabile regionale del sindacato infermieristico Nursing Up, Laura Rita Santoro, in una lettera inviata al ministro Roberto Speranza e al governatore laziale Nicola Zingaretti.

 

 

Ricordando «che almeno l’84% dei positivi al Covid, per ragioni di servizio, secondo l’Inail era un infermiere!». Ma, nonostante queste percentuali di contagiati, «sono stati dimenticati molti professionisti sanitari con gli incentivi Covid». Eppure, aggiunge Santoro, «tutti i professionisti sanitari hanno anche messo a rischio di Covid i loro stessi congiunti: i dati citano, neanche benissimo, i soli professionisti sanitari infettatisi, ma nessuno parla dei loro congiunti». E tra di loro ci sono «molti colleghi che, pur avendo contratto il Covid per ragioni di servizio, beffardamente, non avrebbero ricevuto alcun tipo d’incentivo Covid, dal momento che "qualcuno" ha deciso che nei reparti "no Covid" il personale, pur avendo dispositivi di protezione inadeguati, non sarebbe stato esposto al Covid», sottolinea la responsabile del Nursing Up. La quale ha ricordato anche alla Regione Lazio che «sono stati dimenticati gli esternalizzati, figli di un Dio minore, o anche le vittime del "caporalato in sanità". Senza dimenticare che più del 50% della sanità nel Lazio è affidata al privato spesso convenzionato, il restante 50% della sanità pubblica è gestita, per un 50%, da personale esternalizzato e non strutturato. Non sono stati considerati i sanitari in service, molti dei dipendenti del privato, i dipendenti delle RSA, gli infermieri di famiglia, gli infermieri che assistono domiciliarmente i cittadini. Nel caso degli esternalizzati, anche se hanno esercitato in unità Covid - conclude Santoro - non hanno ricevuto alcun tipo d’indennizzo!».

 

 

 

Ma neanche quest’annunciata «trasfusione» dei 90 milioni basta però a placare la protesta dei medici: «Ci ritroviamo prostrati ed esausti a continuare a combattere su due fronti mentre affrontiamo una crisi strutturale mai vissuta prima. Le problematiche che ci affliggono sono numerose e non hanno ancora ricevuto costruttive attenzioni», lamentano i camici bianchi della Società italiana medicina d’emergenza-urgenza (Simeu), che mercoledì 17 scenderanno in piazza a Roma contro i «Pronto Soccorso e 118 a rischio estinzione: ci sono 4.000 medici e 10.000 infermieri in meno rispetto le necessità attuali. La perdita di professionisti ha ormai raggiunto i massimi livelli storici e oggi si è molto vicini a compromettere in maniera decisiva la qualità dell’assistenza offerta, peggio. Le condizioni di lavoro attuali non consentono ai professionisti attivi di avere necessari tempi di riposo e di recupero psico-fisico». I medici del Simeu avvertono che «le carenze di ordine strutturale e organizzativo attualmente impediscono un’efficace attività, ponendo a rischio la qualità del servizio nei confronti dei pazienti. La carenza di medici nei servizi di emergenza rappresenta un rischio insostenibile per la comunità e necessita di soluzioni immediate, anche volte ad aumentare il potere attrattivo di questa disciplina verso le nuove generazioni». Anche perché, già nell’era pre-Covid, in Italia si contava un’emergenza ogni minuto e mezzo, figurarsi ora: «Si calcolavano circa 24 milioni di ingressi al Pronto Soccorso all’anno, pari a un terzo dell’intera popolazione italiana - conclude la Simeu - ossia un’emergenza ogni 90 secondi».

 

 

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