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L'anti-delocalizzazione non sia soltanto un grido manzoniano

Angelo De Mattia
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È incerto se oggi sarà presentata alla seduta del Consiglio dei Ministri la proposta che genericamente (e impropriamente) viene denominata «anti-delocalizzazioni». Questa dovrebbe essere inquadrata e trarre il proprio fondamento nel quadro della «responsabilità sociale» d'impresa. Non dovrebbe essere solo una «grida manzoniana», anche se norme e politiche cogenti debbono essere bilanciate con la libertà dell'iniziativa economica e con i principi del libero mercato. A fronte di ciò, vi è comunque il lavoro, nonché il posto che quest'ultimo occupa nella Costituzione. È lontanissimo il tempo in cui si ipotizzava l'introduzione dell"imponibile di «mano d'opera» nelle aziende; tuttavia non siamo affatto al Far West, come giustamente è stato detto, ma neppure al «West», come è stato corretto: siamo in Europa e in Italia con la Costituzione e le norme che con essa debbono essere coerenti e con i Trattati dell'U.E. 

 

 

D'altro canto, le previsioni che si intendono introdurre non possono essere fondate esclusivamente su incentivi e agevolazioni, anche se questi possono avere un'importante funzione di dissuasione a delocalizzare perché dovrebbero scattare, nel caso di trasferimento dell'attività, misure risarcitorie. Le incentivazioni devono obbedire, invece, a una visione strategica generale e non possono essere mirate a specifiche aziende. Così come l'eventuale subentro dello Stato nell'impresa la cui attività viene delocalizzata deve trovare l'armonizzazione con le norme comunitarie sul divieto di aiuti di Stato. Non si tratta di limitare le iniziative; tutt'altro. Occorre, però, studiarle bene e calibrarle adeguatamente, anche per prevenire contrasti con Bruxelles che finirebbero con l'allungare i tempi dell'entrata in vigore delle norme progettate. Ma questo è un campo in cui il diretto intervento del Premier Draghi gioverebbe non poco. Occorre , come si dice con una formula ormai abusata, che egli «ci metta la faccia». Non si potrebbe dire infatti , da parte degli eventuali critici e degli organismi comunitari, che egli sia un dirigista che voglia supergestire economia e lavoro. Del resto, è qui la prova regina degli effetti concreti del prestigio e della credibilità che gli vengono riconosciuti e che non possono essere solo parole vuote. Certamente, l'anti-delocalizzazione per eccellenza sono la crescita dell'economia, l'aumento della produttività totale, l'affermarsi dell'innovazione.

 

 

Ma, si tratta di processi che non maturano completamente nel breve termine e nella transizione: di qui la necessità di misure specifiche e anche di iniziative per contrastare la concorrenza non sempre leale all'interno della stessa Unione per accaparrarsi l'insediamento di imprese estere e per impedire la competizione tra ordinamenti giuridici e tra normative fiscali. Draghi certamente non si farà distrarre dal ritorno dei media e del chiacchiericcio politico su quel che farà «da grande». Ora si legge che la sua presidenza dovrebbe arrivare alla fine della legislatura e anche dopo per il quinquennio successivo, per esempio con l'abbraccio da parte del Pd di tutta la sua politica e le sue proposte, consegnandosi, questo partito, completamente a lui. Non si capisce come si possa arrivare a queste aberranti proposte che segnerebbero la fine di un partito, ma arrecherebbero anche un «vulnus» alla democrazia. 

 

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