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Il nuovo ponte di Genova e quei dubbi dei tecnici sul progetto di Piano

Alberto Di Majo
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Il ponte progettato dall’architetto Renzo Piano e costruito in un anno a Genova è celebrato come il simbolo del «modello Italia». Come il riscatto dopo il crollo della pila 9 del viadotto Polcevera e la morte di 43 persone in quel maledetto 14 agosto 2018 (proprio ieri c’è stata la cerimonia per ricordare le vittime della tragedia). Eppure la nuova struttura poteva essere migliore e meno costosa. Parola del Consiglio superiore dei lavori pubblici, organo di consulenza tecnica del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, più antico dell’Italia unita.

Nel febbraio 2019 è cominciata la demolizione dell’intera struttura, che è stata completata ad agosto. Dodici mesi dopo, precisamente il 3 agosto 2020, è stato inaugurato il nuovo viadotto Genova San Giorgio. Un lavoro straordinario di cui, tuttavia, gli esperti hanno messo in luce alcune mancanze. Le loro valutazioni sono state messe nero su bianco nel marzo di due anni fa, prima che cominciassero i lavori, ma non hanno mai ricevuto pubblicità. Inevitabilmente rendono un po’ meno «modello» quell’opera. Gli stessi tecnici, pur avvertendo nel loro dossier che il Commissario non era tenuto al rispetto del loro parere (obbligatorio per altri progetti), precisavano che «ha comunque ritenuto di avvalersi delle alte competenze di questo Consiglio Superiore presentando la richiesta cui il presente parere si riferisce».

Nella valutazione dei tecnici nell’assemblea del 26 marzo 2019 venivano sottolineati sia i costi eccessivi, che si sarebbero potuti evitare con alcune modifiche al progetto, sia alcune scelte strutturali che sarebbero potute essere ottimizzate.

Nelle 104 pagine della relazione si leggono alcuni suggerimenti. Il più rilevante è l’eliminazione di otto pile, cioè le strutture verticali che sostengono la travata nei punti intermedi. Non un piccolo particolare, anche a livello estetico. Si legge a pagina 88: «Si potrebbero eliminare 8 pile, con significativa contrazione dei costi (che certamente compenserebbero ampiamente eventuali modesti incrementi della sezione in acciaio dell’impalcato) ma, soprattutto, dei tempi di realizzazione». Dunque i lavori durati un anno potevano anche essere più brevi.

Non solo. Gli esperti del Consiglio superiore valutavano che questa scelta avrebbe comportato «la rinuncia alla complessa opera di costruzione dei pali di fondazione, plinti, pile e messa in opera dei relativi sistemi di appoggio». Un consiglio, precisavano ancora, che andava «nella direzione di aumento di durabilità, risparmio di tempo e di costi, a parità di sicurezza strutturale e nel sostanziale rispetto della qualità del segno architettonico». Insomma, quelle modifiche avrebbero tagliato tempo e costi di realizzazione e aumentato la possibilità del ponte di resistere nel futuro. Ma allora il Commissario fece una scelta (legittima) diversa.

Poi c’erano altre segnalazioni, in questo caso molto tecniche, sulla stabilità dell’opera: «Per quanto riguarda i calcoli strutturali della travata, si rileva che la scelta di una sezione così alta implica inevitabilmente un comportamento da sezione non duttile».

Il Consiglio dei lavori pubblici notava inoltre come l’elaborato con le verifiche di sicurezza allegato alla documentazione fosse redatto «dagli stessi tecnici firmatari di altri documenti progettuali». Una condizione difforme da quanto previsto nelle Linee guida per la gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali. Per questo suggeriva di ripetere l’analisi, «ad opera di soggetti estranei al gruppo di progettazione e ai Consulenti». Si indicava comunque la presenza di «due sistemazioni che inducono gli utenti ad aumentare la velocità di percorrenza» e, dunque, «ad assumere condotte di guida (e velocità) non coerenti con la limitazione regolamentare imposta alla velocità» (nello specifico, «la lunghezza del tratto in rettifilo» e «il quadro prospettico che si presenta quasi invariato rispetto alla posizione dell’utente e che, pertanto, induce monotonia»). Il suggerimento era di ampliare lo spartitraffico centrale e di ridurre la dimensione della corsia di emergenza (da 3,50 m a 3 come previsto dalla normativa). Si segnalavano perplessità anche sulla pavimentazione (nel tratto in curva l’uso del «grip road» aumenterebbe l’aderenza ma questo esito non sarebbe dimostrato – il progetto del ponte si riferisce, notano gli esperti del Consiglio, a un unico studio, nemmeno specifico, benché siano citati «recenti studi di letteratura»).

I tecnici entravano nello specifico dei test per la sicurezza e lamentavano che non fosse esplicitato come fossero state affrontate «nel calcolo le prescritte azioni eccezionali quali: esplosioni o situazioni di incendio, qualora lo scenario di danno legato a queste possa incidere sulla resistenza delle strutture. Inoltre - continuavano - manca in relazione a questi scenari di danno, lo studio che determini le zone a rischio sottostanti e lo studio che prevede anche la potenziale caduta di un veicolo per trasporto merci ordinario a massimo carico viaggiante ammesso o la caduta di materiali trasportati, comprendendo anche la possibilità di rottura o di inefficacia delle barriere di protezione». Per questo si raccomandava «la completezza totale delle valutazioni nella fase di passaggio all’esecutivo dettagliato».

Dunque sarà stato anche un parere «di natura consulenziale», visto che i lavori erano già stati contrattualizzati, ma i rilievi segnalati, «raccomandazioni» e «suggerimenti», come li definisce il Consiglio Superiore, sul progetto già elaborato, sono interessanti. Come anche la decisione, in alcuni casi, di non seguirli.

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