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Studenti positivi bloccati a Dubai, il racconto: "Che rabbia, ma se tornavamo in Italia era peggio"

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All’inizio qualche ragazzo con la febbre, qualcuno con il raffreddore. E i tamponi che risultavano tutti negativi. Di qui la decisione di «lasciar correre», il medico che ritiene «impossibile tamponare tutti appena c’è un problema». A questo si aggiunge il «sistema delle bolle che non regge», i ragazzi che «si mischiano in piscina, perché i tempi dedicati sono troppo pochi». Il risultato è che «sui 250 partiti da Roma il 30 giugno, 280 con lo staff» per un viaggio premio dell’Inps a Dubai per ragazzi meritevoli (mattina studio e pomeriggio escursioni) «duecento sono diventati positivi» al coronavirus. A raccontarlo ad Adnkronos è Gabriele H., studente del Liceo artistico Ripetta di Roma.

 

Uno dei 50 ragazzi del gruppo che non ha contratto il Covid nonostante il suo «compagno di stanza fosse positivo». Gabriele, che ha «preferito non mangiare e non bere per non abbassare la mascherina quando un giorno mi sono trovato con tanti ragazzi, negativi anche loro, in una stanza per 6, 7 ore ad aspettare di essere smistato» nell’hotel. Questo accadeva il 14 luglio, giorno in cui Gabriele, 18 anni compiuti proprio nei giorni di isolamento a Dubai, sarebbe dovuto rientrare in Italia insieme agli altri ragazzi negativi. «Invece all’aeroporto di Dubai il governo e la polizia ci hanno bloccato. Non ci hanno fatto partire», racconta lo studente. Che alla rabbia e allo sgomento iniziale, al pensiero per la madre che lo attendeva a Roma e alle ore trascorse di notte in aeroporto per terra e senza pasti, fa prevalere il dialogo.

Si fa portavoce dei ragazzi come lui, si fa spiegare che «se fossimo arrivati in Italia saremmo stati una bomba epidemiologica. E questo non sarebbe stato un danno solo per gli Emirati, ma anche per tutta l’Italia. Perché una volta atterrati a Roma i negativi, che erano entrati in contatto con positivi, sarebbero andati nelle varie regioni». Quello che invece «ha voluto fare il governo di Dubai è trattarci come suoi cittadini, prendersi cura di noi». Tanto che all’hotel, gli Emirati hanno «mandato uno staff di medici e infermieri, c’è un’ambulanza parcheggiata qui fuori, hanno disposto un piano di emergenza e perfino una terapia intensiva». Anche se, ammette Gabriele, «all’inizio non sembrava così, sembrava volessero darci contro».

 

Dopo essere stati fermati in aeroporto, i ragazzi negativi vengono riportati in hotel e messi in una stanza per essere tamponati. «Il risultato è arrivato dopo un giorno e mezzo, eravamo stremati», racconta. Quando vengono smistati nelle stanze, Gabriele si accorge che «eravamo nella stessa palazzina dei ragazzi positivi». Si fa allora promotore di una «iniziativa di protesta pacifica. Ci siamo messi giù per terra e abbiamo detto che non saremmo entrati nelle stanze con accanto positivi. Sono arrivati i funzionari degli Emirati, abbiamo parlato con loro e hanno capito».

Il risultato ora sono «stanze sanificate, dove abbiamo tutto il necessario per la nostra igiene e per proteggerci, ci vengono forniti pasti completi, possiamo anche ordinare da un’app». Ma la variante Delta, responsabile del maxi focolaio di Dubai, continua a diffondersi. «Anche il medico che era qui con noi ha contratto il Covid» e «molti ragazzi sono asintomatici. Altri hanno tosse, febbre, mal di gola, non sentono i sapori». Nessuno viene obbligato a restare nella propria stanza, «con mascherine, distanziamento e tutte le dovute precauzioni ci si può incontrare anche in uno spazio comune».

Ed è proprio in uno spazio comune dell’hotel che, nel mezzo di una vera e propria odissea, Gabriele ha anche potuto spegnere le sue 18 candeline. «È venuto un delegato del ministero della Salute degli Emirati a portarmi la torta, c’erano diversi funzionari importanti. I ragazzi positivi che erano nell’altra palazzina si sono affacciati per farmi gli auguri. Sono riusciti in qualche modo a farmi trascorrere il mio diciottesimo abbastanza bene», racconta Gabriele, partito come tanti altri per ottenere crediti scolastici, studiare inglese e arabo oltre che per una meritata vacanza dopo un difficile anno tra dad e contatti sociali ridotti al minimo. «Tredici giorni di vacanza bellissimi, Dubai una città all’avanguardia», ricorda Gabriele.

Dopo le difficoltà iniziali, «stanze sporche, anche per il fatto che parte dello staff era stato contagiato ed era in quarantena», ci hanno aiutato. «Sono venuti funzionari degli Emirati a parlare con noi, hanno visto con i loro occhi la situazione e ci hanno messo mano. Il governo arabo ci sta aiutando molto», racconta. Lo stesso vale per l’Italia, «ho incontrato la vice console italiana a Dubai, tutti i ministri italiani si sono interessati».

Due i gruppi di studenti coinvolti. Il primo è quello di Gabriele, che si è visto bloccare due escursioni. Il secondo è invece composto da «altri 250 ragazzi, messi in isolamento il loro quinto giorno di vacanza dopo che nel primo gruppo si sono registrati 110 positivi». Ci sono stati momenti in cui «la situazione era insostenibile, c’era un grande caos e disorganizzazione». Ci sono stati «momenti di disperazione, gente che piangeva. Persone con diabete che non avevano medicine, chi aveva impegni di lavoro» che non poteva rispettare. In «molti si sono lamentati del cibo», e «il governo degli Emirati ha promesso miglioramenti, che ci sono stati, tutto a spese loro. Noi italiani sul cibo siamo un po' viziati...». Anche lo staff delle pulizie, «una volta che hanno avuto il tampone negativo al test hanno subito ripreso a lavorare, sono ragazzi che hanno 5, 6 anni in più di noi. Bravissimi».

Ora, «per finire la quarantena mancano ancora 8 giorni». Il che significa che «quando saranno finiti questi otto giorni, chi risulta negativo dovrebbe poter ripartire e tornare in Italia». Chi invece risulta positivo «verrà monitorato ogni 48 ore. Se non si negativizza, verrà monitorata la sua carica virale. E se sarà bassa, verrà fatto viaggiare con tutte le dovute precauzioni».

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