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Morgante: "Noi uomini vittime di donne stalker rimaniamo invisibili"

Giovanni Terzi
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«Mi si è otturato il lavandino mi presteresti un po’ di acido muriatico», così su internet, attraverso un social, una persona commentava una foto di Giuseppe Morgante il giovane legnanese che a maggio del 2019 è stato aggredito e sfregiato in viso e nel corpo da Sara Del Mastro.

Il «nickname» di questa persona riporta un nome femminile ma poco importa; è però certo che quando si tratta di una aggressione di una donna nei confronti di un uomo la sensibilità sembra essere minore. «Io non me la prendo», risponde Giuseppe Morgante, «ci sono cose ben più importanti che devo affrontare quotidianamente piuttosto che occuparmi di questi "leoni da tastiera"». Certo è che una simile, macabra e violenta battuta cela un atteggiamento profondamente malato di qualcuno che si sente di usare nuovamente violenza nei confronti di un ragazzo che è stato sfregiato a vita senza un motivo.

Ma andiamo per ordine: martedì 7 maggio del 2019 Sara Del Mastro, 38 anni, decide di rovinare per sempre la vita a Giuseppe Morgante con cui aveva avuto una brevissima relazione lanciandogli dell’acido muriatico sul viso. Sara Del Mastro è così passata dalle minacce ai fatti. La vita, da quel giorno, per Giuseppe Morgante cambia radicalmente; quattro interventi in un anno subiti e l’identità per sempre sfregiata. Una violenza inaudita che poteva certamente essere fermata ed evitata perché Giuseppe aveva più volte denunciato le minacce di Sara: l’aveva fatto ai carabinieri più volte e anche al programma «Le Iene» che avevano documentato, attraverso un’intervista di Veronica Ruggeri, il dramma ancor prima che accadesse. «Vuole buttarmi dell’acido» aveva detto poco prima dell’aggressione alle telecamere del programma televisivo. Veronica Ruggeri era andata ad intervistare sia Giuseppe che Sara. Giuseppe aveva raccontato l’ossessione con cui Sara Del Mastro si relazionava a lui attraverso minacce scritte e azioni reali come quella di bucargli le gomme dell’auto.

 

 

Dall’altra parte la Del Mastro, che poco prima di aggredire il suo ex diceva alle telecamere «deve provare un po’ di quel dolore che ha fatto provare a me». Ma tutto questo è servito ad attivare le forze dell’ordine rispetto alle denunce fatte? La risposta è, drammaticamente, no! L’attenzione per la vittima maschile di stalking è la stessa che per una donna?
L’avvocato Elisabetta Aldrovandi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime mi racconta che «il delitto di stalking, per quanto in prevalenza commesso da uomini in danno di partner o ex partner, vede negli ultimi anni un’impennata anche da parte del sesso femminile. Gli ultimi dati confermano che il 24% degli atti persecutori denunciati è commesso da donne che, incapaci di accettare la fine di un rapporto, iniziano a perseguitare l’ex, in un modo che raramente arriva alla violenza fisica, ma che quando viene perpetrata causa danni gravissimi, come nel caso di Giuseppe. È anche vero, purtroppo, che spesso gli uomini non sono considerati vittime al pari delle donne, perché la violenza femminile è più accettata di quella maschile, in quanto etichettata come meno pericolosa. Conseguentemente, gli uomini tendono a reagire con meno ansia e paura quando sono minacciati da una donna e più raramente presentano denuncia, mentre non c’è una particolare differenza quando alle condanne.

I problemi veri, in casi simili, sono rappresentati dal fatto che lo stalker può accedere al rito abbreviato e ad automatici sconti di pena (fino a un terzo) indipendentemente da pentimento o risarcimento del danno, e dal fatto che la vittima è spesso lasciata sola, senza indennizzi adeguati e adeguato sostegno psicologico per affrontare il trauma subito e cercare di ricostruire una vita completamente cambiata. Un aspetto positivo, invece, è dato dal fatto che in seguito alla legge introduttiva del "codice rosso” nel 2019, lo stalker che voglia ottenere la liberazione anticipata deve intraprendere un percorso psicoterapeutico di recupero, norma introdotta anche grazie a una richiesta che facemmo espressamente in audizione in commissione Giustizia. Il che è fondamentale per reati in cui l’aspetto psicologico del reo è spesso la causa scatenante della condotta criminale».

Ma il dramma di Giuseppe Morgante non finisce qui. Sara Del Mastro è stata condannata a 7 anni e 10 mesi di carcere. La sentenza è stata emessa il 25 maggio 2020 dal tribunale di Busto Arsizio (Varese) e ha dell’incredibile. A Giuseppe Morgante è stata per sempre privata l’identità; il suo viso e il suo corpo non saranno più quelli di prima e saranno decine gli interventi chirurgici che dovrà affrontare per migliorare la sua salute. Ma oltre a questo Giuseppe vive anche con il dispiacere di non avere avuto giustizia «solo sette anni di carcere» racconta il giovane legnanese «quando, giustamente, se a subire violenza sono delle donne si arriva fino a diciannove anni». Come dargli torto sapendo che c’è addirittura la possibilità che la pena venga, in appello, diminuita.

La storia di Giuseppe Morgante non è solo una storia di ingiustizia penale ma anche civile; ad oggi nessun sostegno economico è stato a lui concesso e, le costosissime cure di cui necessita, sono tutte a carico suo. «Un giorno durante il processo Sara Del Mastro mi fa recapitare una lettera di scuse», racconta Giuseppe, «a parte la mia difficoltà a credere alla genuinità di queste scuse c’è un passaggio abbastanza inquietante quando lei afferma il male che io le avrei fatto lasciandola». Anche a me fa impressione che a distanza di un anno e mezzo una donna che ha rovinato per sempre deturpando il fisico di un uomo chieda scusa facendo presente quanto dolore aveva lei per la fine del rapporto.
Ma anche questo appare del tutto coerente con i modi che Sara Del Mastro ha sempre avuto nei confronti di Giuseppe e anche degli uomini in genere.

Una compagna di cella ha dichiarato come Sara sia ancora molto risentita con Giuseppe e come questo agguato fosse stato premeditato. «La signora Del Mastro era andata in ferramenta dicendo che il lavandino era otturato così da comprare dell’acido muriatico. Una volta a casa aveva fatto delle prove sugli effetti che questo acido faceva su dei petti di pollo. Tutto questo - racconta la compagna di cella della Del Mastro - perché lei era irritata dal fatto che Giuseppe avesse un’altra fidanzata». E la stessa cosa stava succedendo in carcere con un uomo con cui si scriveva. Questa donna che è stata compagna di cella di Sara Del Mastro e che vuole rimanere anonima racconta gli scatti d’ira quando scoprì che la persona che si scriveva con lei poteva anche scriversi con un’altra donna. Esiste, in tutto questo racconto, un filo rosso che lega ogni episodio e che ci porta verso la sottovalutazione, da parte di chi di dovere, di una situazione di forte malessere e di pericolosità sociale di una persona. Siamo sicuri che sette anni di carcere e di rieducazione siano sufficienti a Sara Del Mastro per poter essere poi riammessa nella società civile senza alcun pericolo? Alla luce di quanto raccontato credo sia necessaria una seria riflessione.

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