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Caso Palamara, parla Rita Dalla Chiesa: quei magistrati disonorano anche papà

Giovanni Terzi
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Rita Dalla Chiesa: «Mio padre si sentirebbe tradito dal caso Palamara». Il cinque giugno si celebra e commemora la data in cui la Bandiera dell'Arma dei Carabinieri fu insignita della prima medaglia d’oro al valor militare e alla partecipazione dei Carabinieri alla prima guerra mondiale. La cerimonia della festa dell’arma dei Carabinieri infatti si svolse la prima volta il 5 giugno del 1920.

La motivazione che accompagnò la medaglia è la seguente: «Rinnovellò le sue più fiere tradizioni con innumerevoli prove di tenace attaccamento al dovere e di fulgido eroismo, dando validissimo contributo alla radiosa vittoria delle armi d'Italia».

Oggi la ricorrenza viene denominata anche «festa dell'Arma dei Carabinieri». La festa viene celebrata a Roma con il carosello storico e la rievocazione delle battaglie più importanti a cui l'Arma ha partecipato. Quest’anno a causa del coronavirus tutto ciò non è avvenuto. Rita DallaChiesa, figlia del Generale Dalla Chiesa , racconta come viveva quei preparativi e quel giorno speciale; ricordando che Carlo Alberto Dalla Chiesa nacque proprio nel 1920, la data della prima celebrazione dell’arma da lui amata e onorata con la vita.

 

«Quest’anno il 5 giugno mio papà mi è mancato ancora di più. Io sono profondamente legata allarma dei Carabinieri, mi sento un Carabiniere. Mio nonno era un generale dei Carabinieri e mio padre entrò nell’arma durante la seconda guerra mondiale e partecipò alla Resistenza.
Posso dire che nel sangue dei Dalla Chiesa scorre quello dei Carabinieri».
Come ha vissuto questo, diciamo anomalo, cinque giugno che per altro rappresentava il centenario delle celebrazioni dell’arma?
«Con un grande senso di angoscia che sono riuscita a sedare sentendo il Generale dell’arma e tanti amici. Per me il cinque giugno era la celebrazione di un anno di battaglie vinte e soprusi sconfitti. Era il momento in cui ognuno di noi celebrava gli atti eroici di chi aveva donato se stesso per la Giustizia e per il nostro paese».
Cosa ricorda di quel giorno?
«Da una parte la tristezza perché quando si pronunciava "medaglia d’oro al valore" significava che quel Carabiniere era morto per il bene del paese. In altre occasioni in cui il Carabiniere riceveva la medaglia vedevi la soddisfazione e l’orgoglio negli occhi del soldato anche se, spesso accadeva , la consegna della onorificenza coincideva con una offesa che rimaneva perpetua sul corpo».

 


E lei come viveva il 5 giugno?
«Io lo vivevo in caserma accanto a papà e alla mia famiglia. Vivevamo ogni preparazione ed era una liturgia laica straordinaria; tutti fieri di rappresentare l’arma e tutti attenti a celebrarla con il rispetto dovuto. Ricordo mio papà che molti giorni prima ascoltava le musiche che si sarebbero suonate, e passava uno per uno i suoi uomini. Una emozione straordinaria quando suonava l’inno Italiano».
E suo padre preparava il discorso?
«Sicuramente lo aveva ben chiaro nella sua testa; non l’ho mai visto leggere alcunché e parlava sempre a braccio. Le devo dire una cosa...».
Mi dica...
«Io mi sento un Carabiniere.
Dicevo sempre a mio padre che il mio sogno sarebbe stato quello di servire l’arma ma, ai miei tempi , non c’era la possibilità. Però oggi mi godo le donne Carabiniere che sono bellissime, oltre che bravissime ed intelligentissime».
Lei avrà ascoltato tanti discorsi del suo papà durante il 5 giugno, ne ha uno che ricorda in modo particolare?
«Ricordo l’ultimo discorso a Milano il 5 Giugno del 1982 (il 3 settembre il Generale Dalla Chiesa venne ammazzato a Palermo assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro )in cui parlava della ingiustizia che assolve . Come era avanti!».
Cosa voleva dire?
«Mio padre ha combattuto e sconfitto le Brigate Rosse ma poi ha sofferto per alcune pene che non sono state applicate. Era per lui la ingiustizia che assolveva. In questo senso era avanti perché percepiva che qualche cosa anche all’interno della Magistratura non andasse bene».
Si riferisce al caso Palamara?
«Se dobbiamo attualizzare, si. In realtà mi riferisco a tutte quelle volte in cui non si riesce ad avere una Giustizia giusta. Il caso Palamara in questo senso diventa paradigma di una parte del sistema».
Lei cosa pensa di quello che sta accadendo nella magistratura?
«Grande tristezza e sofferenza. Io ho avuto l’onore di conoscere e frequentare magistrati come Falcone, Borsellino, Caponnetto, Costa, Terranova e Chinnici; quindi questo che sta accadendo getta un’ombra su una istituzione generale della nostra democrazia e sporca anche tutto il buono che esiste». 
E suo padre cosa direbbe?
«Si indignerebbe più di me.
Mio padre non avrebbe tollerato per esempio ciò che hanno fatto a Stefano Cucchi. Combatteva ogni ingiustizia sociale e ancor più chi tradiva l’arma. Mio padre non sopportava la divisa come giustiziera! Papà aveva un senso altissimo dello Stato che ha reso possibile il suo ricordo così nitido è chiaro dopo quasi quarant’anni dalla sua uccisione. Pensi che un giorno il nipote di Rocco Chinnici mi incontrò e mi disse che era diventato Carabiniere in onore di mio padre».
Ci furono momenti in cui suo padre parlò in famiglia di cose legate al suo lavoro?
«Mai. Mio padre non diceva nulla e confidava solo a mia madre; molte cose le abbiamo scoperte dopo. Però vidi mio padre soffrire in due occasioni: una fu l’uccisione di Aldo Moro e l’altra l’omicidio del fratello del brigatista pentito Patrizio Peci. In questo c’era il senso di giustizia di mio padre; la giustizia sociale che è un fatto oggettivo, che si impone per chiunque».
Quando suo padre venne mandato a Palermo cosa pensò?
«In realtà mio padre aveva capito che avevano deciso di farlo ammazzare e per questo scrisse una sorta di lettera-testamento in aereo».
Cosa diceva in quella lettera?
«Da una parte ci scriveva come dividerci alcuni beni comuni tra noi fratelli ma soprattutto ci fu una frase che rappresentò il testamento spirituale vero».
Quale?
«Mio padre scrisse a noi figli "vogliatevi bene come ve ne volete adesso" e così è stato “voi fratelli avete un bel rapporto quindi". Strettissimo e di grande amore. Abbiamo chat comune e ci scriviamo più volte al giorno».
Di Emanuela Setti Carraro, la moglie di suo padre , cosa pensa?
«Io so che mio papà le chiese di rimanere a Milano ma lei preferì seguirlo a Palermo. Aveva trent’anni in meno ed era innamorata del Generale Dalla Chiesa. Mia madre avrebbe accettato il consiglio perché sapeva che se papà diceva qualcosa era per proteggerla».
In questa giornata di celebrazione c’è una domanda che più di altre si fa?
«Si ! Mi chiedo spesso se chissà se mio padre sarebbe orgogliosa di me».
E cosa si risponde?
«Probabilmente papà mal avrebbe accettato i miei due matrimoni anche se Fabrizio (Frizzi <CF202>ndr</CF>) gli sarebbe piaciuto tantissimo. D’altra parte sono certa che per il mio lavoro, basato su programmi normali e tranquilli, sicuramente si».
Come ha passato la quarantena?
«Chiusa in casa da sola; mia figlia abita sopra di me ma abbiamo rispettato alla lettera ogni disposizione».
Come pensa sarà il mondo dopo il coronavirus?
«Spero migliore anche se noto una maggior durezza nei rapporti; ma io voglio essere sempre ottimista».

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