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Piemonte in bottiglia: il regno del Barolo e l'anima nascosta del vino contadino

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Valerio Castro
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Il Piemonte è una terra dove il vino non è solo prodotto agricolo, ma linguaggio. Qui ogni collina racconta una storia fatta di vitigni antichi, vendemmie lente e contrasti armonici tra eleganza e rusticità. In cima alla gerarchia, Barolo e Barbaresco dettano legge: figli del Nebbiolo, padroni delle Langhe, ambasciatori del vino italiano nel mondo.

Barolo è austero, strutturato, longevo. Non si concede facilmente, ma quando lo fa, incanta. Barbaresco, più morbido e accessibile, è la sua controparte più fine, meno imperiosa ma non meno profonda. Entrambi rappresentano l’anima nobile del Piemonte, il volto che il mondo conosce e premia.

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Ma accanto a questa élite enoica, esiste un Piemonte meno patinato e più schietto. È quello del Monferrato, dove vitigni come Grignolino, Freisa e Ruchè raccontano una ruralità autentica. Il Grignolino, in particolare, sfida le mode con la sua leggerezza color rubino e i suoi tannini vivaci: un rosso che non somiglia a nessun altro, e proprio per questo affascina.

Poi c’è l’Alto Piemonte, terra di alture e microclimi, dove il Nebbiolo assume nomi locali – Spanna, in zona Gattinara – e si accompagna a uve minori come Vespolina e Croatina. In mezzo, piccoli gioielli bianchi come l’Erbaluce di Caluso, minerale e luminoso, che ricorda quanto il Piemonte non sia solo terra di rossi.

Questo mosaico di vini e territori forma un equilibrio raro tra potenza e grazia. Da una parte, i vini monumentali da invecchiamento e collezione; dall’altra, i vini quotidiani, contadini, che sanno raccontare il gesto e la fatica.

Il Piemonte, insomma, è un universo in bottiglia. Raffinato ma anche imperfetto, celebre ma ancora da scoprire. E forse è proprio in questa tensione – tra la cantina del grande cru e quella della piccola cascina – che si nasconde il suo vero fascino.

 

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