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Le cantine italiane seducono all'estero

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Il mondo del vino non si ferma mai, nemmeno durante una pandemia mondiale. E per fortuna, viene da dire, perché nient’altro come il vino riesce a rappresentare il volto migliore dell’Italia, quello che sa resistere alle difficoltà più grandi, che va avanti nonostante tutto, che si apre al mondo attraverso le sue eccellenze. Ecco, aprirsi al mondo proprio quando farlo sembra impossibile: è stata questa la cifra – e la sfida - della seconda edizione di Italian Taste Summit, evento tenutosi lunedì 12 e martedì 13 ottobre nello splendido Grand Hotel de la Minerve, pensato per far incontrare le migliori aziende vitivinicole del Paese con i più importanti buyers internazionali.  Una splendida due giorni durante la quale più di 35 produttori italiani provenienti da 14 regioni diverse hanno dialogato con 30 importatori di 12 nazioni differenti, in un tripudio di odori e sapori. C’era praticamente tutto il mondo, insomma: un successo anzichenò, a dimostrazione che nonostante tutte le difficoltà quando il vino italiano chiama tutti rispondono, dal Giappone all’Olanda, dalla Polonia agli USA. E questo è stato senza dubbio un altro grande merito di Italian Taste Summit, quello cioè di aver condotto i buyers internazionali sul suolo italiano e non viceversa, come solitamente accade. Deus ex machina del successo dell’iniziativa è stata Joanna Miro, organizzatrice della due giorni e titolare della Wine Global Aspect, azienda specializzata nella vendita export dei vini italiani che vanta una fitta rete di collaboratori sparsa per tutto il globo. “Il made in Italy – ha evidenziato Miro a margine dell’evento – è sicuramente uno dei brand più rinomati e importanti al mondo, che non dovrebbe incontrare alcuna difficoltà a imporsi su tutti i mercati. Con questa convinzione, e con lo scopo di sviluppare a pieno il potenziale immenso delle aziende italiane – ha proseguito - è nato il progetto Italian Taste Summit. Se solitamente sono i vignaioli a recarsi all’estero per far conoscere i propri prodotti, noi facciamo l’inverso, portando sul suolo italiano i player che riteniamo fondamentali. Riusciamo tra l’altro in questo modo a far percepire meglio il vero valore del vino italiano, che risiede indiscutibilmente nel legame con i diversi territori che compongono la Penisola”. Mai parole sono state più azzeccate di queste, e per capirlo è stato sufficiente osservare i volti estasiati dei presenti durante le (tante) degustazioni organizzate all’interno delle eleganti sale dell’Hotel della Minerva: un Rubedo della cantina toscana La Leccia per aprire le papille gustative, poi un sorprendente Verdicchio riserva di Casal Farneto per dare freschezza al palato, a seguire un Barbera d’Alba di Cascina Chicco per ricordarsi cosa può regalarti un grande rosso piemontese…E tanti altri splendidi vini, impossibili qui da citare tutti e altrettanto impossibili da raccontare in due parole: come sempre, per capire bisognerebbe assaggiare. Un modo semplice ma efficace, quello messo a punto dall’Italian Taste Summit, per rinnovare i meccanismi dell’export del vino made in Italy in un momento in cui tutto sta cambiando a velocità impensabile, come spiegato dal Joanna Miro: “proprio in questo momento è in corso una mutazione della natura dei mercati, che di conseguenza cambiano le proprie esigenze. A causa delle difficoltà mondiali nel settore della ristorazione, si stanno aprendo nuovi varchi nella vendita al dettaglio, per un consumo di tipo domestico. Ciò – ha concluso la Miro - avvantaggia soprattutto le aziende con un target medio-alto, che producono vini di qualità e con un’identità ben costruita. È fondamentale quindi adeguarsi e saper cogliere le nuove opportunità”. 

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