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Se torna ad aleggiare lo spettro della patrimoniale

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Ho fatto una ricerca sui quotidiani in edicola nell'ultimo mese per verificare quante volte, negli articoli, è stata citata la parola patrimoniale, nel senso di prelievo sul patrimonio dei risparmi degli italiani. Siamo ancora a livelli non preoccupanti: tra tutti gli organi di stampa se ne è parlato in tutto una trentina di volte. La metà delle quali per prendere nota delle smentite di esponenti del governo rispetto a questa ipotesi. In particolare di Tria e degli economisti dell'area leghista. Ma quando se ne è parlato con più attinenza? Ad esempio quando Matteo Salvini e Armando Siri hanno paventato la possibilità che gli italiani tornino ad acquistare in massa il debito pubblico del proprio Paese (si tratta pur sempre di un passaggio di denaro dalle proprie tasche a quelle dello Stato, anche se in cambio si ricevono Btp). Oppure quando Moody's, nel giudizio che accompagnava l'abbassamento del rating dell'Italia, spiegava che l'outlook sarebbe rimasto stabile perché ragioni di solidità del sistema si potevano riscontrare nell'abbondanza del risparmio dei privati. E qualcuno, per l'appunto, ha inteso queste parole come il suggerimento di applicare una tassa patrimoniale. Ancora, il Corriere della Sera ha riportato come, dalle colonne del Frankfurter Allgemanie Zeitung, il responsabile del dipartimento di Finanza Pubblica della Bundesbank, Karsten Wendorff, abbia proposto all'Italia una patrimoniale per ridurre il debito pubblico. In pratica ognuno dovrebbe investire il 20% dei propri risparmi in titoli di Stato. Infine, mi ha sorpreso come il direttore de Il Fatto, Marco Travaglio, in un editoriale in cui parlava di tutt'altro (l'attacco del vicepremier Luigi Di Maio al presidente della Bce Mario Draghi) abbia inserito una frase apparentemente fuori contesto, ma significativa. Nella quale, per l'appunto, ha incoraggiato il governo ad applicare una seria tassa patrimoniale. Ora, io non sono pregiudizialmente contrario a un prelievo di questo tipo, anche perché da tempo ritengo che uno dei mali principali della nostra società sia l'eccessiva concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi a fronte dei tantissimi che hanno poco o nulla. Prima di esprimere un giudizio, aspetterei di capire come sarebbe strutturato il provvedimento e, soprattutto, come sarebbero utilizzati i soldi prelevati "forzosamente" dai conti dagli italiani. Si dirà che il governo ha finora sempre smentito questa ipotesi. Ma il solo fatto che se ne parli denota una realtà. E cioè che per finanziare parte delle promesse elettorali fatte, i "gialloverdi" hanno bisogno di soldi che non hanno. E come garanzia per ottenere maggiori margini utilizzano proprio i risparmi delle famiglie. Quindi mi chiedo: ha senso promettere di dare soldi agli italiani (con reddito di cittadinanza, pensioni, flat tax, sconti sulle cartelle esattoriali etc) se poi è agli stessi italiani che quei soldi vanno chiesti? Ha senso farlo dopo che si è sostenuto ininterrottamente che "nessuno metterà le mani nelle tasche dei cittadini" e che "nella manovra non ci saranno partite di giro, non diamo soldi con una mano per prenderli con l'altra"? Ha senso dopo che in campagna elettorale si era parlato di "70 miliardi di coperture già individuate" e dei proventi di una "seria spending review"? Il peso delle contraddizioni, insomma, si sta facendo insopportabile. Un po' come avvenuto per la vicenda delle banche. Prima si è soffiato sullo Spread e si è annunciato l'aumento della tassazione sui nostri istituti, mettendoli in ginocchio. Poi si è dovuto ammettere che c'è il rischio di doverli ricapitalizzare per evitarne il fallimento. "Non ci metteremo un euro degli italiani" garantisce Di Maio, timoroso di apparire un novello Renzi. Ma l'alternativa è far entrare investitori stranieri, perdendo il controllo di altri asset. Non proprio il massimo per un governo sovranista.

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