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Morto Sinisa Mihajlovic, da tempo lottava contro la leucemia

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Sinisa non ce l’ha fatta. Ha lottato, come ha sempre fatto nella sua carriera, prima da giocatore e poi da allenatore, ma alla fine ha dovuto arrendersi a un avversario più forte di lui. La sua «partita della vita» finisce qui, contro quella leucemia che aveva bussato alla sua porta nell’estate 2019. Mihajlovic, 53 anni, l’aveva affrontata a testa alta, senza nascondersi. Era stato lo stesso tecnico serbo, il 13 luglio, a comunicare la diagnosi, mostrandosi in tutta la sua fragilità («Sono stato due giorni chiuso in casa a piangere. Ti passa tutta la vita davanti») e allo stesso tempo la sua grande voglia di combattere: «La malattia la affronto come ho sempre fatto e vado avanti. Non vedo l’ora di cominciare. Prima comincio e prima finisco». I primi sospetti poco prima dell’inizio del ritiro precampionato di Castelrotto, per un presunto problema all’anca, poi gli esami più specifici e la diagnosi. «Io questa sfida la vinco, ma ho bisogno di chi mi vuole bene», le parole di Mihajlovic, subito sommerso da centinaia di messaggi di affetto. Il tecnico comincia subito le cure presso il reparto di ematologia dell’Istituto Seragnoli del Policlinico Sant’Orsola, segue a distanza il suo Bologna promettendo di farsi trovare il prima possibile in panchina.

E 40 giorni dopo il ricovero, anche se smagrito e visibilmente provato, eccolo al «Bentegodi» per la prima di campionato contro il Verona. Piano piano Mihajlovic cerca di tornare alla normalità, dirige gli allenamenti fra un ciclo di cure e l’altro e a fine novembre si sottopone al trapianto di midollo osseo. «Sono stati 4 mesi e mezzo tosti - racconterà qualche giorno dopo l’intervento - Non mi sono mai sentito un eroe, ma un uomo, sì forte, con carattere, che non si arrende mai, ma sempre un uomo con tutte le sue fragilità». Sinisa fa della sua battaglia un messaggio, una fonte d’ispirazione, si racconta anche in un libro - «La partita della vita» - per dare coraggio a chi, come lui, ha dovuto lottare contro la malattia. Ma quando il peggio sembra passato, nel marzo 2022, ecco una nuova batosta: c’è il rischio di una ricaduta e Mihajlovic deve sottoporsi ad altre cure. «Questa malattia è molto coraggiosa per avere voglia di tornare ad affrontare uno come me - ci scherza quasi su - Ma sono qua, se non le è bastata una prima lezione gliene daremo un’altra. Stavolta non entrerò in scivolata, in tackle su un avversario lanciato ma giocherò d’anticipo per non farlo partire». Ma non è bastato.

Il calcio si trova così a piangere la scomparsa di un grande combattente, nato in quel di Vukovar e cresciuto nella Jugoslavia di Tito da madre croata e padre serbo, che trova presto nella sua Arianna la dolce metà che lo accompagnerà per il resto della sua vita e che ci mette poco a mettersi in luce sui campi di calcio, prima col Vojvodina e poi con la Stella Rossa. È a Belgrado che Mihajlovic - centrocampista dal sinistro velenoso e cecchino quasi infallibile sui calci piazzati - esplode, arrivando a vincere una storica Coppa dei Campioni. Poi, nel ’92, l’arrivo in Italia, alla Roma, e quindi Samp (sarà Eriksson ad arretrarlo in difesa), Lazio (dove vince scudetto, due Coppe Italia e una Coppa delle Coppe) e Inter. In nerazzurro appende le scarpette al chiodo nel 2006 e passa subito alla panchina, come vice di Mancini, prima di mettersi in proprio: Bologna, Catania, Fiorentina, Sampdoria (il settimo posto nella stagione 2014-15 il suo miglior piazzamento in campionato), la grande chance al Milan, il Torino e infine il nuovo ritorno al Bologna, esperienza chiusa con l’esonero a settembre dopo appena cinque giornate di campionato. Una decisione che lascerà Mihajlovic con l’amaro in bocca perchè convinto di poter ribaltare le sorti della squadra. Sarà la sua ultima esperienza in panchina. Ma lassù, da qualche parte, troverà magari qualcuno a cui insegnare come calciare le punizioni.

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