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Quando al Tre Fontane Liedholm palleggiava anche con i giornalisti

Gianfranco Giubilo
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Se ci si avvicina al sessantesimo compleanno si può reclamare il titolo di monumento storico. In particolare se si tratta di un impianto, sorto nel 1959 alle spalle del luna park dell'Eur, che sarebbe diventato poi una seconda casa per la Roma e per la sua storia. Giusto che torni a far parlare di sé lo stadio delle Tre Fontane, quello che andrebbe celebrato con le gigantografie di Dino Viola e Nils Liedholm, uomini che ne avrebbero decretato la nascita in epoca lontana e che ora rimangono i simboli di questo prato verde finito nella leggenda giallorossa. Erano altri tempi quando non si dovevano prendere appuntamenti su prenotazione per avere un colloquio con un giocatore designato dalla stessa società e quando i giornalisti vivevano fianco a fianco con i protagonisti del loro lavoro quotidiano. Per questo è giusto celebrare il ritorno a pieno titolo dello stadio delle Tre Fontane, assunto ora al livello di secondo stadio con a disposizione una tribuna in piena regola e la possibilità di ospitare la squadra di Alberto De Rossi arrivata con pieno merito ai vertici del calcio giovanile italiano. Alle Tre Fontane si andava, e parlo dei giornalisti che seguivano passo passo l'attività della prima squadra giallorossa, vestiti con la tuta perché poi c'era sempre la possibilità di stare in campo con i ragazzi e dedicarsi, a fine allenamento, ad una partecipazione attiva al gioco, fianco a fianco con i protagonisti da celebrare poi sulle pagine dei rispettivi giornali. Sarà difficile cancellare dalla memoria quel tipo di rapporto particolare che si era venuto a creare tra noi narratori delle loro imprese e i giocatori. Soprattutto il legame stretto con Liedholm, che quell'impianto d'allenamento aveva fortemente voluto da quando era tornato in sella alla seconda avventura sulla panchina romanista. Lì si viveva un intenso rapporto quotidiano senza barriere, senza cerberi a impedire il contatto con i calciatori. Questo era lo stadio che ora torna in voga e che sarà destinato a ospitare gli eroi del settore giovanile della società con l'aggiunta preziosa di una tribuna quasi da stadio vero, sia pure di modeste dimensioni. Ho già detto come noi della stampa eravamo parte attiva in quelle intense giornate nelle quali ci era consentito di stare vicini anche ai crudeli scherzi che avevano come vittima principale Roberto Pruzzo, che in fondo aveva accettato con filosofia il suo ruolo di bersaglio preferito dei giochi dei compagni ispirati soprattutto da Sebino Nela. Quando il tecnico svedese dava il segnale del rompete le righe in realtà non erano in molti a raggiungere gli spogliatoi. Anzi quasi tutti rimanevano in campo per ideare altri episodi burleschi ai quali anche noi eravamo chiamati a partecipare. Proprio al Tre Fontane c'è da registrare un episodio storico e significativo: il primo gol segnato da Francesco Totti che però, all'epoca, vestiva la maglia della Lodigiani. L'unica diversa da quella in giallo e rosso che avrebbe poi onorato per tutta la sua carriera senza soluzione di continuità. Più che altro si respirava, ognuno nel rispettivo ambito di lavoro, un clima conviviale che sarebbe utopistico soltanto immaginare ai tempi nostri quando in pratica il contatto diretto con i protagonisti deve passare attraverso filtri, controlli, appuntamenti concessi dagli uffici stampa. Al Tre Fontane c'era tutt'altra atmosfera, una sorta di simbiosi tra la squadra e chi ne doveva descrivere non soltanto le imprese sul campo, ma anche i ritmi quotidiani della preparazione. Per questo era gratificante per tutti noi, che i giocatori non si precipitassero sotto le docce, ma rimanessero a scambiare qualche palleggio e a renderci partecipe dei loro momenti ludici non previsti dal diario quotidiano del tecnico. Bei tempi, da rimpiangere.

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