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di Giuseppe Sanzotta Devo confessare che Luis Enrique è proprio simpatico.

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Tantopiù perché lo fa in modo naturale. Prendete la partita di lunedì con il Genoa. Quasi una fotocopia della vittoria a Palermo. I giallorossi vanno subito in vantaggio. E tu, memore del passato, già ti prepari a imprecare immaginando che, contrariamente a qualsiasi logica, vedrai i tuoi beniamini regalare contropiedi devastanti agli avversari, mentre sarebbe naturale il contrario. Invece ti accorgi con piacevole sorpresa che i terzini avanzano a turno, che la difesa è sempre coperta, che solo il caso impedisce ai tuoi beniamini di aumentare il bottino. Gli avversari fanno inutili tocchettini, davanti a una linea Maginot composta da 11 ragazzoni con il coltello tra i denti che badano al sodo. Spazzano l'area, non fanno passare nessuno. Tremi un po' quando vedi Palacio davanti alla porta, ma poi l'attaccante pensa di essere al luna park e mira esattamente alla traversa, non a quell'immensa rete spalancata davanti. Meriterebbe la bambolina del tiro a segno. Ma salvo quell'attacco alle coronarie, nessuna sofferenza. Tutti dietro a difendere e poi via in contropiede. Finalmente pratici e vincenti. E lui, l'allenatore spagnolo che fa? Dice che non gli è piaciuto nulla. Ma come? Bisognava far segnare il Genoa? E io che pensavo che finalmente avesse capito che si celebrano le vittorie, non le belle sconfitte. Non gli è piaciuta la Roma? Meglio quella che davanti all'area avversaria addormentava perfino i cani poliziotto con infiniti tic e toc, per poi regalare agli avversari le occasioni da rete? Io non ci trovavo nulla di divertente. Se allo stadio vedi la tua squadra perdere vai a casa un po' infuriato (veramente la parola giusta sarebbe un'altra). E se qualcuno, soprattutto il tuo allenatore dice, «la squadra mi è piaciuta, abbiamo giocato bene ci è mancato solo il gol e abbiamo sbagliato qualcosina in difesa», che fai? Ora lo dico: ti incazzi. Ma pensavate di giocare a nascondino? Nel calcio contano le reti. Il resto è aria fritta. La Roma del tic e toc mi sembra come quei corteggiatori pieni di premure e di regali, gentili, educati. Che ponderano ogni movimento che aspettano, aspettano. Cercano il momento giusto per il primo casto bacio. Intanto arriva un altro più intraprendente e la frittata è fatta. Allo sconfitto resta solo la sua inutile galanteria. Al rivale i fatti. Così talvolta è la Roma. Perdente, ma glorificata per quel possesso palla che non conta nulla, e senza i punti andati tutti all'avversario. No, caro Luis Enrique a me piace il risultato. Vorrei vedere la mia Roma strappare il terzo posto alla Lazio, e se per riuscirci dovrà rispolverare il vecchio libero, se dovrà ricorrere al contropiede di Helenio Herrera, va benissimo. Nello sport, lo diveva anche l'autentico De Coubertin, conta partecipare, ma per vincere. Se poi vinciamo riuscendo anche ad essere belli ed eleganti, meglio. Ma preferisco la rabbia degli sconfitti ai falsi complimenti di chi ci batte.

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