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Calvario Ferrari La Red Bull di Vettel trionfa senza problemi a ritmo di record Alonso e la Rossa steccano, ci si consola coi sorpassi «artificiali»

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Gommeche vanno in pezzi dopo cinquanta chilometri o non raggiungono mai la giusta temperatura. Il kers, 80 cavalli motore extra da usare a piacimento del pilota per pochi secondi. E poi l'«ordigno fine di mondo»: l'ala posteriore a profilo variabile usabile solo da chi insegue e non da chi gli sta davanti, col risultato che una macchina globalmente più lenta ne può superare una globalmente più veloce grazie ai 15 km/h aggiuntivi regalatile in rettifilo dalla diminuzione della resistenza aerodinamica all'avanzamento. Questo armamentario di espedienti ha prodotto l'astronomica cifra di 1.486 sorpassi in 19 gran premi, e pur togliendo dal totale quelli avvenuti in partenza o per ritiro di un avversario ne restano sempre 1.212, quasi il doppio del precedente record, 666, cifra a sua volta abbastanza drogata dal fatto che quell'anno (il 1984) correvano fianco a fianco macchine a motore turbo e a motore aspirato, con differenze di potenza che potevano raggiungere i 200 cavalli. Recordman stagionale di sorpassi è stato Michael Schumacher, con 116, ma non è un grosso merito, perché l'occasione di farne così tanti gliel'hanno offerta solo le sue pessime prestazioni in qualifica. Non a caso quello che di sorpassi ne ha fatti di meno (27) è stato Vettel. Così lo «spettacolo» è stato più presunto che vero, uno spettacolo artificiale che la gente, non essendo scema, ha poco apprezzato, come dimostrato dalla sensibile flessione degli ascolti televisivi. Per cui gli otto mesi netti di corse che abbiamo vissuto dal 27 marzo al 27 novembre di veramente entusiasmante ci lasceranno soltanto il ricordo della cavalcata solitaria di Sebastian Vettel, leader del Campionato dal primo all'ultimo giorno. A soli 24 anni, Vettel ha aggiunto altri primati a quelli (pilota più giovane a fare una pole, a vincere un gran premio e a diventare campione del mondo) che già deteneva: più giovane a fare il bis iridato, numero di pole position (15, una in più del Mansell 1992) e di podi (17, eguagliato lo Schumacher del 2002) in una stagione. C'è mancato poco che eguagliasse anche un altro dei record di Schumi, quello di vittorie in una stagione, ma a fermarlo prima che ci riuscisse è stata la maledetta foratura al primo giro del Gp di Abu Dhabi, unica occasione nella quale Vettel non è andato a punti (11 vittorie, 5 secondi, 1 terzo e 1 quarto posto). Molti hanno attribuito questa trionfale passerella del giovane tedesco alla schiacciante superiorità della sua Red Bull sulle macchine avversarie. Anche qui, si tratta di una lettura superficiale di quanto è accaduto nel corso dell'anno. Basta confrontare il rendimento di Vettel con quello del suo compagno di squadra Mark Webber. Guidando una vettura identica alla sua, Webber ha fatto appena tre pole position ed è riuscito ad arrivare terzo nella classifica Piloti solo grazie al fatto che Vettel gli ha regalato la sua unica vittoria nell'ultima corsa, in Brasile. Ma il punteggio totale è spietato: Sebastian 398, Mark 258, una differenza media di 7.35 punti a gara. In realtà Vettel ha dominato la stagione grazie a una stupefacente maturazione personale, così come testimoniato anche dall'uomo che più di ogni altro dovrebbe avere interesse ad esaltare la decisiva superiorità della Red Bull, il suo progettista Adrian Newey: «Sebastian si guarda in giro, apprende, fa degli errori come tutti, ma non ripete mai due volte lo stesso errore. È giovane, ma pensa molto. È incredibilmente maturo, ha appreso tantissimo in pochi anni di Formula 1». Di fronte a tanta bravura, è difficile dire se, a parità di pilotaggio, la seconda forza del Mondiale, la McLaren Mercedes, non avrebbe potuto dare alla Red Bull più filo da torcere di quanto gliene abbia dato in concreto. La McLaren ha vinto sei gran premi, ma avrebbe potuto forse fare molto di più se in numerose occasioni non le fosse venuto a mancare l'apporto del suo miglior pilota, Lewis Hamilton, l'unico che a mio parare equivalga Vettel per doti velocistiche (e addirittura lo sopravanzi in combattività). Forse proprio per dimostrare di non essere inferiore a Vettel, il pilota della McLaren è però incappato in una stagione semidisastrosa, non riuscendo a controllare la propria emotività e incappando in una lunga serie di incontri ravvicinati con gli avversari, in particolare con il povero Felipe Massa, l'anello più debole della debole catena della Ferrari, che dal canto proprio ha rappresentato la più grande delusione del 2011. Partita con grandissime ambizioni, la Ferrari s'è scoperta sempre meno competitiva coll'avanzare della stagione. Ha avuto una fiammata centrale, vincendo a Silverstone nel giorno del 60mo anniversario del suo primo successo iridato, ma poi s'è capito che nel restituirle competitività le turbolenze regolamentari avevano avuto un ruolo più importante degli sviluppi seguiti al siluramento del vecchio DT, Costa, e alla salita al potere di quello nuovo, Fry. Anche Alonso, il presunto «grande Alonso», ha guidato a singhiozzo, mettendoci a del suo nell'accumulare l'handicap iniziale che ha subito tagliato le gambe a una Ferrari ormai giunta al quarto anno consecutivo di digiuno.

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