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Il titolo lo dà in fondo alla conferenza.

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LuisEnrique ribalta in un colpo le sensazioni trasmesse nei minuti precedenti: quelle di un allenatore ancora sicuro del fatto suo, orgoglioso della squadra e per nulla rassegnato alla sconfitta contro la Juventus nonostante un'emergenza che rende la partita di stasera ancor più drammatica. Ma quando arrivano le domande sul futuro, le certezze svaniscono. Gli chiedono cosa significhi questa sfida per Luis Enrique e se nel suo vocabolario esista la parola «dimissioni». Le risposte lasciano aperto qualsiasi scenario. «Non so cosa succederà - spiega lo spagnolo - tutto ciò che non posso controllare non mi deve preoccupare. Dopo vediamo». E poi:«Io e il mio staff lavoriamo bene, ma nel calcio contano i risultati. Non si sa cosa succederà, mai dire mai...». Come a Firenze, anche oggi all'Olimpico i riflettori saranno tutti su di lui. Le sue scelte, le smorfie, la gestione della gara in corso. E se arrivasse un'altra sconfitta potrebbe essere decisivo il «come» per eventuali decisioni clamorose del tecnico. «È normale - aggiunge - che quando le cose non vanno bene si cerca il colpevole. Ho sempre detto che quando la mia squadra non va, sono io il massimo responsabile. Ma se mi metto a guardare la partita di Firenze mi rinforza come allenatore: la Roma in inferiorità ha continuato a fare la sua proposta». Gli fanno notare le statistiche della gara - 68% di predominio territoriale ma pochissime occasioni - e l'allenatore ironizza: «Siamo forti allora, mamma mia! Aspetto ancora di vedere una squadra in dieci uomini che fa quel possesso di palla lì». La stessa arma che cercherà di opporre alla fisicità della Juventus anche se Luis Enrique avverte: «Vincerà chi farà meglio la fase difensiva e si metterà dietro la palla per primo, più velocemente. Per battere una squadra che in 13 partite ne ha vinte 8 e pareggiate 5, o mostriamo la nostra migliore versione o sarà un "episodio" difficile. Paura? Non si deve mai averne nel calcio. Possiamo fermare la Juve, certo. Per me tutti quelli che si sono allenati in questa settimana sono la mia squadra, non parlo degli assenti. Giocherà la Roma vera». Contro una Signora lanciatissima. «È la partita più difficile insieme a quella con il Milan: sono di un livello superiore rispetto alle altre». Si innervosisce quando spunta l'argomento-Borriello, da tempo ai margini senza un motivo evidente. «Sono stanco di parlarne, a me interessa la squadra a voi le cazzate... Io cerco di controllare il gruppo e faccio in modo che tutti pensino prima alla squadra che al loro interesse». Più chiaro di così!? Lo spagnolo si infastidisce anche quando lo paragonano a Conte e gli fanno notare la differenza di impatto sulla squadra, eppure appena prima ha definito il collega bianconero «un allenatore bravissimo che ha fatto capire ai suoi giocatori che per poter vincere devono lottare in undici e in tutte e due le fasi». Cosa che la Roma, a dire il vero, ancora non sa fare. Da Torino Conte ricambia la stima. «Per me Luis Enrique sta facendo un ottimo lavoro - sostiene il condottiero juventino - bisognerebbe andare oltre i risultati nei giudizi. Nei giallorossi vedo la mano del tecnico, averne di allenatori così». Conte non si fida. «Mi aspetto la solita Roma, mi piace molto come gioca. Anche a Firenze, in dieci, ha condotto le danze. Per noi sarà un banco di prova significativo, dovremo essere preparati a capire le spigolosità della gara quando loro avranno il possesso palla ed essere bravi quando l'avremo noi». Roma-Juve 4-0 del 2004 è l'ultimo successo giallorosso all'Olimpico. «Io c'ero - ricorda Conte - quando Totti ci fece il segno dei quattro gol con la mano e Cassano esultò con i compagni in cerchio facendo finta di buttarsi addosso l'acqua come in piscina». Sembra un secolo fa.

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