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La mia rivoluzione

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Walter Sabatini nuovo ds della Roma

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Parole e fumo in libertà. Walter Sabatini irrompe a Trigoria con un «one man show»: settanta minuti di conferenza stampa, tre sigarette accese perché non ce la fa a stare senza, concetti chiari e diretti all'universo romanista. Tifosi, calciatori, dirigenti. Il risultato è un plebiscito: il nuovo direttore sportivo è piaciuto parecchio. Con la sua voce roca e il gradevole accento umbro traduce il messaggio della nuova proprietà americana. È solo al tavolo della conferenza, ma è come se parlassero anche DiBenedetto e Baldini. «Vogliamo fare una rivoluzione culturale»: ecco il tema dominante del nuovo corso. Sbagliato chiamarlo progetto, «perché nel calcio - spiega Sabatini - i progetti non esistono: c'è solo il lavoro di tutti i giorni». Prima di concedersi senza limiti di tempo a una sala stampa strapiena - un centinaio di persone, tra giornalisti, fotografi e altri spettatori interessati compresi due avvocati di Unicredit e DiBenedetto - il dirigente fa una premessa: «Mi devo fumare 2-3 sigarette sennò perdo la concentrazione». Ieri ha firmato il contratto di un anno, mettendo fine al «lavoro da carbonaro che ho iniziato dopo aver lasciato il Palermo a novembre. L'ho fatto per me stesso sperando poi di poterlo trasferire nella Roma». Sabatini si rivolge alla gente: «Non chiedo pazienza ma complicità. So che i romanisti sono in astinenza, cercherò di tradurre il pensiero del gruppo DiBenedetto e di Baldini che sarà qui nei prossimi mesi». Si parte da Luis Enrique. «È una scelta provocatoria. E comunque una prima scelta, non inferiore a Villa Boas, nonostante abbiamo pensato a tanti altri: Klopp, Garcia, Pioli e Giampaolo. Luis Enrique porterà le sua idee e le adatterà al nostro calcio». DiBenedetto lo aiuterà con gli acquisti. «Mi ha dato carta bianca - assicura Sabatini - ma non parliamo di budget: se vi dico 80 milioni e poi 60 servono per Pastore, poi ci intristiamo...» Il nome dell'argentino non gli scappa per caso, «non lo mollo anche se chiedere Pastore a Zamparini e come togliere la corona alla regina. Lamela? Lo voglio portare a tutti i costi. Non prenderemo imberbi adoloscenti, ma giovani forti: questo non è una squadra da rifare». Si partirà però dalle conferme. «Prenderemo 5-6 giocatori nuovi e per farlo significa che qualcuno verrà ceduto. Ora devo parlare con i giocatori: ho bisogno di capire quanto vogliono restare e a quali condizioni, non economiche ma psicologiche». Sui singoli è abbastanza chiaro. «Borriello è un problema: va capito se vuole rimanere e in che modo. Menez deve accettare che l'allenatore lo possa impiegare in un ruolo o un altro. Vucinic? Grande giocatore, ma devo confrontarmi con lui: parlando col ct del Montenegro ho capito che ha un disagio». Nessun dubbio, invece, sul futuro di De Rossi. «Deve restare. Non so quanto mi chiederà per il rinnovo, faremo di tutto per trovare un accordo». Totti è un discorso a parte, «è intramontabile come la luce sui tetti di Roma - dice Sabatini - una specie di divinità: la squadra sarà modellata attorno a lui che deve avere sensibilità nel decidere quando andare in campo». Niente slogan, ma tanta voglia di arrivare in alto. «Cercheremo di vincere nel giro di qualche tempo, anche lo scudetto». Ma tutto partirà dal basso. «Proporrò delle modifiche a Bruno Conti: Primavera e Allievi Nazionali vengono sotto il controllo diretto dell'allenatore della prima squadra». Chiarissimo anche sui poteri della nuova Roma. «Quando ho parlato con DiBenedetto mi ha illustrato uno schema snello, con ds e dg. Non ci devono essere altre persone. Montali? Ha grandi risorse ma io farò riferimento a quell'organigramma. Pradè rimarrà nella Roma con altri incarichi Peruzzi è un discorso a parte: avevo pensato a lui per tenerlo vicino alla squadra però ora devo riflettere». Sincero, diretto, Sabatini si tiene ben distante dalle parole fatte. «Non sto realizzando il mio sogno nel cassetto, né ho dormito con la foto di Losi in camera. Ma cercherò di essere all'altezza». L'inizio è incoraggiante.

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