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Il «non ritorno» di Schumi

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Ela minestra riscaldata a Michael Schumacher non è andata giù. Nel 2007 lasciò da campione antipatico e osannato, tre anni dopo si è ritrovato a fare il comprimario che parla italiano nelle interviste pur di piacere. Un bel salto all'indietro per il sette volte iridato che alla guida della Mercedes (ingaggio faraonico) doveva bissare i fasti Ferrari a dar retta alle improvvide dichiarazioni di inizio anno. E invece a sue spese ha scoperto quanto è cambiata la F1. Ma giù il cappello davanti a un 41enne che si rimette in gioco e che per tutto l'anno ha la forza di liquidare con un sorriso i sorpassi del compagno Rosberg o di giovani di belle speranze e fare spallucce davanti alle critiche patrie sempre più feroci. Il suo flop ha almeno tre concause. Troppa la ruggine della lunga inattività e le abituali manovre al limite quest'anno sono state tutte sanzionate. A Monaco per un sorpasso su Alonso in regime di safety car, e all'Hungaroring per aver stretto a muro Barrichello. Uno smacco: prima era il Re intoccabile, ora un comune mortale senza scettro. Si salva solo in Spagna e Turchia, 4° posto. Simbolicamente chiude il campionato in testacoda. E incorona il suo successore: Vettel. Altro motivo del disastro è la maggior concorrenza. Negli anni trionfali battagliava con un solo avversario per volta: Damon Hill, poi Villeneuve, Hakkinen e Alonso. Con i piloti di nuova generazione è un'altra corsa. Hamilton, Vettel, Kubica, Hulkenberg, come si è visto, sono in grado di duellare ad armi pari senza timori riverenziali. Infine la deludente monoposto argento. Il pacchetto era al di sotto delle aspettative tanto che già a metà anno il team ha iniziato lo sviluppo della vettura 2011. Niente addio anticipato per il pilota di Kerpen. In questo non è cambiato: l'orgoglio teutonico prima di tutto. Dopo il purgatorio, vuole di nuovo l'Olimpo. Gia. Ori.

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