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Alonso senza alibi

Fernando Alonso ai box

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C'era una volta un «bicampeòn», per dirla alla spagnola. Un pilota aggressivo, tenace, cattivo, opportunista che, con i due titoli mondiali conquistati nel 2005 e nel 2006, convinse il kaiser Schumacher ad appendere il casco al chiodo. Quel pilota, Fernando Alonso, a soli 28 anni sembra l'ombra di se stesso. Silverstone poteva essere la prova di appello per lui e per la Ferrari, l'ultima gara in cui tentare di rilanciare una stagione che appariva compromessa. E invece pilota e monoposto ne escono con le ossa rotte. Ma, con estrema sincerità, stavolta le responsabilità della squadra sono poche, quelle del pilota enormi. Il quindicesimo posto finale, davanti al compagno di squadra Massa che anche in questa corsa è riuscito a fare peggio, è figlio di una gara scellerata costellata da un serie di errori non degni di un pilota che intasca la bellezza di 25 milioni di euro all'anno. Il resto della gara, che ha visto il trionfo di Mark Webber quindici giorni dopo il pauroso incidente di Valencia e il secondo posto di un sorprendente Lewis Hamilton, passa in secondo piano rispetto alla giornata nera dell'asturiano. Una delusione ancora maggiore se si pensa a quelle che erano le premesse del Gp. Alonso partiva dalla terza posizione, dal lato pulito della pista. Un vantaggio che avrebbe dovuto consentirgli se non di insidiare Webber secondo, almeno di difendersi da Hamilton. Niente di tutto questo. Quando i semafori rossi si spengono la F10 dello spagnolo rimane inchiodata sull'asfalto. Lo sfilano Hamilton, Rosberg, Kubica e Massa. L'unico a cui Alonso riesce a rispondere è proprio il compagno di squadra. I due lottano, vengono a contatto e chi ha la peggio è il brasiliano, che fora la gomma posteriore destra e deve fermarsi per cambiarla, ripartendo alle spalle di tutti gli avversari. Davanti, nel frattempo, è andata in onda l'ennesima puntata dello «psicodramma» Red Bull. Webber, incattivito per la decisione della squadra di montare l'unica ala posteriore buona nelle qualifiche sulla monoposto del compagno, attacca subito Vettel in partenza e lo supera. Il tedesco non riesce a chiudere la porta neanche ad Hamilton. Tra i due, anzi, c'è un contatto e Vettel, come Massa, fora la gomma ed è costretto a ripartire dal fondo. I due battistrada Webber ed Hamilton vanno in fuga, Kubica tiene dietro Rosberg e Alonso e fa da tappo a tutto il gruppo. Il ferrarista non riesce a superare gli avversari, così dopo qualche giro la squadra lo richiama ai box per toglierlo dal traffico e montare le gomme dure. Il giro successivo si ferma Kubica: Alonso dovrebbe spingere al massimo per guadagnare una posizione ma va largo in una curva e spreca l'opportunità. A quel punto decide di rompere gli indugi: attacca Kubica, il polacco chiude la porta e lo spinge con tutte le ruote sull'erba. Alonso taglia la chicane e rientra davanti al pilota della Renault. Dovrebbe restituirgli la posizione ma non lo fa. I commissari di gara, con la loro proverbiale rapidità, aspettano dieci giri per punire lo spagnolo. Nel frattempo però Kubica si è ritirato per un problema tecnico. Alonso non può farlo ripassare, e per lui viene deciso un drive through. Che diventa ancora più penalizzante a causa della Safety car che ha ricompattato il gruppo dopo che De La Rosa aveva perso parti dell'alettone in pista. Lo spagnolo rientra dietro Liuzzi nelle retrovie e a metà gara la sua corsa è praticamente conclusa. Nel finale l'attacco all'abruzzese, nuovo contatto e stavolta a forare è lo spagnolo. Altra sosta ai box, rientra quattordicesimo davanti a Massa e, con gomme nuove e serbatoio scarico, si prende la «soddisfazione» di segnare il giro più veloce della gara. Un'ulteriore dimostrazione della competitività della macchina vanificata dalla giornata nera del pilota. E mentre sul podio fanno festa Webber, Hamilton e Rosberg, mentre Button quarto e Vettel settimo si prendono i complimenti per le loro rimonte, lo spagnolo dichiara ai giornalisti che «la Ferrari esce da Silverstone a testa alta». Non è propriamente altissima la testa del team manager Stefano Domenicali, che a stento nasconde la rabbia quando, contravvenendo alla sua abituale cortesia, lascia il muretto scansando le televisioni e rimanendo in silenzio. Che il mondiale fosse andato in fumo probabilmente lo si sapeva già a Valencia, ma c'è modo e modo di abdicare. E i tifosi ferraristi meritavano tutt'altro spettacolo.

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