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Il divo? È kaput

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Il ct della nazionale tedesca Joachim Loew

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 L'allenatore che brinderà con la Coppa del mondo non sarà uno di quei personaggi che discutono con tutti e fanno discutere di loro stessi. I quarti di finale hanno portato nella «top 4» altrettanti allenatori antidivi, dimessi ma vincenti, mai polemici o sopra le righe. Il mondiale siè vendicato di tecnici debordanti come Maradona, dalla fortissima personalità come Lippi e Capello, riservatamente scontrosi come Dunga, bizzarramente polemici e persino antipatici come Domenech. Sono rimasti i buoni, i politically correct, quelli che hanno adottato la filosofia del basso profilo.   Joachim Loew, dopo una carriera da giocatore di seconda fascia (mai messo piede in nazionale), ha intrapreso una carriera da allenatore che non è mai veramente decollata. Secondo di Klinsmann nel 2006 (ma vero stratega della squadra, si diceva) è titolare dal post-mondiale ed ha già conquistato un secondo posto agli Europei. Statistiche alla mano è l'allenatore della nazionale tedesca con la più alta percentuale di vittorie della storia. Belloccio e un po' dandy, per la sua giovanissima selezione è una sorta di fratello maggiore, prodigo di buoni consigli e sorrisi consolatori. Nel suo spogliatoio tira un'aria molto liberale: «I miei - ha detto dopo le polemiche pre-Argentina - hanno libertà d'espressione». Sfiderà in semifinale Vicente Del Bosque, allenatore molto più titolato (due Champions e un'intercontinentale con il Real Madrid) ha due baffoni da zio buono e una faccia rubiconda da cagnone gentile. Mediaticamente è un grande incassatore: Florentino Perez lo mandò via come un appestato dal Real dopo che aveva vinto tutto, inaugurando un ciclo di clamorosi insuccessi. Da quando è in Sudafrica il suo predecessore, il campione d'Europa Aragones, gliene ha dette di tutti i colori e lui sempre zitto: «Non esistono due Spagne, una mia e una di Aragones, ce n'è solo una». Van Marwijk, ct dell'Olanda, fino ad oggi era un nome che diceva qualcosa solo ai superesperti. Ha vinto una Uefa con il Feyenord, ha fatto filotto nelle qualificazioni al mondiale, dopo essere stato chiamato a prendersi l'eredità di Marco Van Basten, ingombrante, ma poco vincente. Fra le mani ha un talento debordante, per metterlo a frutto ha dovuto placare i bisticci fra i suoi fenomeni. Loquace nello spogliatoio, misurato nelle conferenze stampa: «Non voglio una squadra dove ci sia troppo spazio per l'ego dei miei giocatori», il suo slogan. L'unico non europeo del lotto dei magnifici quattro è una vecchia conoscenza del calcio italiano, l'ex Cagliari e Milan Oscar Washington Tabarez. Un signore distinto con un'educazione d'altri tempi, ha fatto poca fortuna in serie A e le sue simpatie di sinistra non fecero scattare l'intesa con Berlusconi. In Uruguay è un monumento nazionale, ha guidato la Celeste per tre volte e già si pensa a fargli un contratto quasi a vita. È un altro personaggio silenzioso che non ama troppo i riflettori. Il suo Uruguay in Africa non gode di troppo sostegno, dopo aver eliminato i Bafana Bafana ha fatto fuori il Ghana, mortificando il sogno africano: «Siamo riusciti a zittire le vuvuzela».  

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