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Briatore, il giorno della verità

Flavio Briatore

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Briatore innocente o colpevole? A questa domanda, come a tante altre riguardanti il «crash gate» di Singapore 2008, oggi non si avrà nessuna risposta. Nè, con ogni probabilità, chiarimenti potranno arrivare in futuro. Quello che oggi stabilirà il Tribunale delle Grandi Istanze di Parigi è solo se il processo intentato dalla Fia contro il manager piemontese sia stato equo e corretto oppure - come sostiene Briatore - viziato da gravissime irregolarità e, soprattutto, mosso dal desiderio di vendetta dell'ex presidente della Federazione Max Mosley.   Le vicende sono ormai note a tutti. Il 28 settembre 2008, a Singapore, si corre il primo Gp in notturna nella storia della Formula Uno. Al 15° giro Piquet jr va a sbattere di proposito con la sua Renault nella curva 17 per favorire il compagno di squadra Alonso, che poi vincerà la gara. L'anno successivo, a metà campionato, Piquet jr viene licenziato per scarso rendimento e denuncia quanto successo il settembre precedente. Il falso incidente gli sarebbe stato «suggerito» dal team manager Briatore e dal direttore tecnico Pat Symonds. La Fia convoca l'assemblea generale e, dopo la relazione di Mosley, decide di radiare a vita Briatore e squalificare per 5 anni Symonds. La Renault se la cava con due anni di sospensione con la condizionale e a Piquet jr viene concessa l'immunità in quanto «pentito». Ma il processo ha numerose falle. Le ricostruzioni del pilota e quelle di Symonds non collimano. Il secondo non conferma mai il coinvolgimento di Briatore. Allora viene chiamato in causa un «testimone x» - corrisponderebbe al meccanico Alan Permane - che accusa Briatore. Ma la sua deposizione viene raccolta telefonicamente solo qualche giorno prima del processo. Tra gli altri rilievi mossi dagli avvocati di Briatore c'è la sproporzionatezza della sentenza. L'imputato, infatti, viene radiato a vita e gli viene finanche impedito di mantenere rapporti con i piloti di cui era manager: tra gli altri, Alonso e Webber. Infine, aspetto più importante, nel processo della Fia il ruolo di «pubblico ministero» e quello di giudice erano ricoperti dalla stessa persona, Max Mosley. Che, dopo la guerra tra la Federazione e i team, aveva più di un motivo per avercela a morte con Briatore. È questo il rilievo più consistente del ricorso mosso dall'italiano. Una circostanza che neanche la Fia ha potuto negare. Gli avvocati della Federazione nel corso della prima udienza, lo scorso 24 novembre, hanno cercato di convincere il giudice che quella contro Briatore non è stata una vera e propria sentenza, ma il semplice e legittimo atto amministrativo di un cda. Ecco perché il tribunale di Parigi sarà chiamato, oggi alle 15.30, non tanto a entrare nel merito del «Singapore Gate», ma solo a decidere sulla legittimità delle decisioni della Federazione. Se dovesse vincere, Briatore otterrà la riabilitazione e un risarcimento di almeno un milione di euro per i danni all'immagine. Difficilmente il piemontese rientrerà in Formula Uno, sicuramente non nel ruolo finora ricoperto. Ma avrebbe comunque la soddisfazione di aver inferto un ulteriore colpo alla credibilità della Fia.  

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