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Nessun giallo, l'accordo nasce più di un anno fa

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L'annunciodella firma di Michael Schumacher ha finalmente messo fine al superspot - reiterato e gratuito - che per settimane i giornali di tutto il mondo hanno regalato alla Mercedes mascherando da «giallo» una vicenda che di giallo non ha mai avuto nulla (anzi, e poi vi spiegheremo i perché, ha semmai il torbido profilo di un «noir»). A noi de «Il Tempo», che la notizia l'avevamo da mesi anticipata in esclusiva mondiale, bastò invece fare due più due per capire che sarebbe andata a finire così. Lo capimmo il giorno stesso in cui il neocampione del mondo Jenson Button scappò a gambe levate dalla squadra con la quale aveva appena conquistato il titolo - la Brawn-Mercedes destinata a diventare Mercedes tout court - per chiedere asilo politico alla McLaren nonostante la terrificante prospettiva di far coppia con quel mangiacristiani di Lewis Hamilton. Quel giorno, infatti, chi non aveva gli occhi foderati di prosciutto (o di cotechino made in Maranello...) comprese che s'era chiuso il cerchio aperto circa 18 mesi prima con l'ingaggio di Ross Brawn, compagno di merende di Schumacher dai tempi della Benetton, da parte della Honda. In quei 18 mesi, infatti, Ross Brawn aveva, nell'ordine: a) gestito la Honda in modo da portarla al disastro sportivo, spingerla a ritirarsi e a vendergli la factory di Brackley al prezzo di 1 sterlina (1.10 euro); b) sviluppato parallelamente, a spese della stessa Honda, il progetto della macchina 2009, predisposta a ospitare il motore Mercedes anziché quello Honda ben prima della decisione del ritiro di quest'ultima; c) sfruttato la sua posizione di capo del Gruppo Tecnico della F1 per scrivere un regolamento tecnico 2009 col buco, in modo da rendere vincente la sua macchina con un trucco aerodinamico legalizzato da un gioco di parole; d) legittimato con le vittorie taroccate le trattative per cedere a caro prezzo alla Mercedes quanto la Honda era stata costretta a regalargli; e) edificato il castello pangermanico destinato ad accogliere il ritorno in Patria del Kaiser dopo il lungo esilio italiano. Il bello è che questo percorso è avvenuto alla luce del sole, e ciononostante in F1 nessuno, almeno a parole, si era accorto di quanto gli stava succedendo sotto gli occhi. È stato ignorato persino un episodio inequivocabile quale la grottesca vicenda del «no» di Schumacher a sostituire Massa al volante della Ferrari a pochissimi giorni di distanza dal precedente «sì». Un voltafaccia chiaramente provocato dall'intervento a gamba tesa della Mercedes (e resta solo da capire, semmai, se Schumi abbia strumentalmente detto «sì» a Montezemolo per forzare la mano a Stoccarda, o se invece sia stata Stoccarda ad accelerare i tempi per evitare che Schumi rimontasse davvero in groppa al Cavallino). E sono francamente poco credibili sia lo stupore sia le postume acidità manifestati da Montezemolo, che come minimo sapeva che Schumi non aveva materialmente firmato la proroga triennale del contratto di consulenza propostogli dalla Ferrari, proroga fra l'altro annunciata urbi et orbi con sospetta precipitazione. Quel che voglio dire, insomma, è che la rilettura del percorso culminato in quest'orgia di teutonico nazionalismo dimostra in modo inequivocabile come fosse tutto predisposto e che le bislacche ricostruzioni che vengono fatte circolare sui media in questi giorni sono o favolette o tentativi di arrampicarsi sugli specchi. Non solo. Ad ampliare l'analisi degli eventi sull'arco di tre anni potrebbe addirittura venire il sospetto che l'affaire Brawn-Mercedes-Schumacher abbia tratto origine dagli oscuri avvenimenti dell'autunno 2006 in casa Ferrari. È qui che, appunto, il presunto "«giallo» assume sfumature «noir». Ricordate? In quel 2006 Schumi avrebbe potuto conquistare il suo ottavo titolo mondiale. Gli sarebbe bastato vincere il GP del Giappone per scavalcare in extremis Alonso. Ma a pochi giri dal termine della gara, quando era in testa, Schumi fu appiedato dalla rottura del motore, la prima rottura dopo quasi tre anni di totale affidabilità!... Da lì cominciò la diaspora della triade che aveva dominato la Gestione Sportiva della Ferrari per un decennio fino, dicono, a sognare un impossibile «take over». Brawn andò via (e l'anno dopo il suo capomeccanico di fiducia Nigel Stepney fu coinvolto nella celebre spy-story ai danni del Cavallino), Schumacher smise di correre, e Todt fu sostituito da Domenicali al timone delle attività «tecnico-agonistiche», come amano dire a Maranello. C'è un nesso che lega questi fatti lontani a quelli di oggi? Mah... Sta di fatto che oggi Todt è il presidente della FIA, che la Mercedes è il massimo sponsor della FIA, e che la stessa Mercedes ha rimesso Ross Brawn e Michael Schumacher uno a fianco dell'altro. Ognuno è libero di pensare e dire quello che vuole. Tranne che di professarsi «sorpreso e deluso» dall'amico Schumi, come ha fatto Montezemolo...

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