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Quando non vinci per 105 giorni in serie A è logico che tu te la veda brutta.

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Tuttavial'attesissimo expolit firmato Kolarov - peraltro meritato da una prova collettiva convincente di tutta la squadra - è il frutto di un lavoro cominciato nel derby. Sì, perché otto giorni fa la stracittadina che ha mortificato la Lazio aveva segnato l'inizio di una svolta. Gli scettici, i pessimisti pensavano che la prova gagliarda contro la Roma fosse solo frutto dell'unicità del derby capitolino. Ed invece quella «tigna», quella voglia, quella cattiveria agonistica sono rimaste dentro alla Lazio. Così, complice un Genoa a scartamento ridotto - quello che manca alla squadra di Gasperini è una maturità tattica e mentale lontano da Marassi - la Lazio di Ballardini è tornata alla vittoria. L'ha fatto attingendo a quelle che, necessariamente, dovevano essere le sue qualità migliori: la determinazione e lo sfruttamento dei singoli. Ecco allo Marito Zarate a cui è mancato solo il gol, ma che ha passato tanti palloni; ecco il sinistro decisivo di Kolarov, determinante anche per come ha saputo seguire l'azione vincente nel duello con Moretti; ed ecco i Firmani, i Del Nero, i Meghni: non sono dei campioni, d'accordo, ma se ci mettono la voglia e la concentrazione trasformano la Lazio in una squadra rognosa, capace di far giocar male molti avversari davanti a lei. Ma i segnali positivi - che necessitano ora di una obbligatoria conferma nel prossimo posticipo, teoricamente impossibile, a San Siro contro l'Inter - arrivano anche dai giocatori che non vivono una stagione positiva come Rocchi, non certo tenuto in grande considerazione da Ballardini. Ebbene, anche lui ieri non s'è certo tirato indietro. Tutte cose buone. Perché la classifica fino a ieri era orribile e perché, al netto delle tribolazioni societarie, questa Lazio non merita certo la zona retrocessione.

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