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Fia-Fota, la guerra è ricominciata

I Leader della Fota Luca Cordero di Montezemolo e Flavio Briatore

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Che la vicenda Mosley-Fota-budget cap non si fosse veramente chiusa con il famoso accordo parigino era parso evidente fin dal giorno dopo, quando Mosley s'era inalberato per il modo «offensivo» con il quale Montezemolo e soci se n'erano appropriati, definendo lui un morto che cammina. Anziché spaventarsi davanti alla protesta presidenziale, la Fota aveva per di più voluto stravincere, facendo trapelare accuse di interesse privato in atti d'ufficio ai danni del braccio destro di Mosley, Donnelly, beccato a procurare sponsor ai piccoli team inglesi in procinto di entrare in F1 nonché a tentare di proteggere il doppio binario regolamentare garantito a questi stessi team in materia di motori, autorizzando i loro Cosworth a durare meno di 3 gran premi l'uno e a girare a quota 20.000 anziché 18.000. La reazione della Fia non poteva farsi attendere. Lunedì i piccoli team che si erano iscritti al Mondiale nei giorni in cui sembrava certa l'adozione del budget cap avevano velatamente fatto capire di considerare quel regolamento come un diritto acquisito e di essere pronti a difenderlo in ogni sede. E, ieri, la bomba del Nurburgring, dove i venticelli guerra hanno di colpo riattizzato il grande incendio. Adesso tutto è di nuovo in discussione. Solo che noi poveri appassionati non ne possiamo davvero più di questa pantomima. Né ce ne frega più niente di capire chi ha ragione e chi ha torto. A noi le corse piacciono in pista, non nelle aule dei tribunali. Per cui delle due l'una: o la Fota si fa davvero il suo campionato (ammesso che ne sia capace) o se ne vada a quel paese con Mosley, Ecclestone e tutta questa gabbia di matti che continuiamo immotivatamente a chiamare col glorioso nome di Formula 1.

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