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L'Italrugby cede nel finale

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AMelbourne sull'umida erba dell'Etihad Stadium, con il tetto chiuso, l'Italia cede all'Australia per 34-12, offrendo una prova da interpretare. Se sono ancora molti i limiti messi in mostra dagli Azzurri, il match ha evidenziato anche diversi passi avanti. Cominciamo dal segno meno. Malissimo i placcaggi. Un fondamentale che un tempo era un punto di forza si è dissolto nell'umidità di Melbourne e di fronte alla pertinenza tecnica nell'off-load di Cross, Cooper, Barnes e degli altri canguri. Il fatto che l'esordiente Favaro abbia messo a segno valanghe di placcaggi sottolinea più la latitanza di alcuni suoi compagni che la sua combattività, peraltro ragguardevole. Altro neo del match i troppi falli sui punti d'incontro. Vero è che la competenza australiana in questo particolare fondamentale è enorme, ma troppi sono stati i possessi regalati dopo il contatto. E ,ancora male, la cronica incapacità di essere concreti in fase offensiva. Passiamo alle positività. Prima di tutto la rimessa laterale, dominante, e la mischia chiusa dove i nostri piloni continuano ad impartire lezioni in giro per il mondo. Molto bene le prestazioni individuali dei giovani Tebaldi, Favaro e Quartaroli, bene McLean che si è conquistato il posto da estremo, discreto Garcia capace di dettare efficaci linee di corsa agli off-load di Gower, all'altezza Parisse e Bortolami. Di fronte a questi avversari, per ora, è sufficiente ma il futuro esige molto di più. Il match ha visto il momento migliore degli Azzurri nei primi 20' del secondo tempo, dopo che la prima frazione si era chiusa sul 20-6 per le mete di Polota-Nau, Cross e Ashley-Cooper. All'inizio della ripresa l'Italia è brava a mettere a frutto i tesori di possesso garantiti dalla touche e dalla mischia e mette segno due punizioni di McLean che fissano il 20-12 al 63'. L'ingresso di Zanni, Geldenhuys e Ghiraldini regala sostanza agli avanti ma, pian piano, la benzina finisce e negli ultimi 10' gli Wallabies mettono in sicurezza il risultato con le mete di Turner e, ancora, Ashley-Cooper. La distanza dalle grandi è ancora tanta, ma l'Italia si avvicina.

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