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Il nostro calcio è ammalato di democrazia

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L'impietosasentenza si ricava dalle vicende che da anni determinano le nomine dei dirigenti delle nostre federazioni sportive. L'indice più sicuro di un malessere difficile da curare è rappresentato dagli esiti di alcune recenti elezioni federali. L'esempio più significativo è offerto dalla conferma di Giancarlo Abete alla presidenza della più importante delle nostre federazioni sportive, quella del calcio. Nulla di personale contro Abete salvo la considerazione che si tratta di un personaggio che negli ultimi venti anni ha attraversato tutti gli organigrammi della federcalcio passando da presidente della Lega di Serie C alla vice-presidenza delle Federazione nel governo Carraro fino ad ereditarne il massimo incarico dopo Calciopoli. La continuità dovrebbe garantire esperienza e competenza ma il ricambio significherebbe anche vitalità e rinnovamento. Un esame anche superficiale del mondo del nostro sport più popolare non può lasciarci tranquilli, non può far pensare che tutto funzioni al meglio, che tutti siano soddisfatti. Dopo di che Abete viene confermato presidente con oltre il 98 per cento dei consensi. Il problema di fondo è l'incapacità, che non è prerogativa negativa del calcio ma appartiene a molte altre federazioni, dello sport di dare reale rappresentatività alle sue componenti così succede che se tre o quattro persone si mettono d'accordo vengono fuori risultati che ci richiamano alla Bulgaria. Negli ultimi 35 anni, salvo fugaci ed insignificanti apparizioni di personaggi minori, la presidenza della Federazione e della Lega Professionisti (che è probabilmente più importante) se la sono divisa le stesse persone. Franco Carraro ed Antonio Matarrese sono stati presidenti, in una specie di staffetta, di entrambi i due organismi principali. C'è un grande problema di fondo ed è quello che le persone che hanno le qualità per dirigere una importante federazione sportiva (e quella del calcio è la più importante di tutte) occupano già posizioni di responsabilità e di prestigio nella società. Ecco perché alla fine finiscono per circolare sempre gli stessi nomi e perché si verificano riconferme con percentuali vicine al 100 per cento. Un'ultima notazione che c'entra poco con il problema della falsa democrazia nello sport ma che ritengo importante. Mi fa piacere che il sindaco di Roma ritenga che le due società della Capitale debbano avere un nuovo stadio. Forse i tifosi pensano che sarebbero più importanti alcuni acquisti di grido ma, a prescindere dal fatto che né la Roma, né la Lazio possono permetterseli, se Roma vuole essere competitiva nel calcio deve affrontare e risolvere il problema dello stadio. Piaccia o non piaccia al Coni, l'Olimpico non va bene.

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