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Dalle stalle alle stelle

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Il trionfo di Ron Dennis

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Entrambi sono riusciti a guidare le rispettive squadre al titolo mondiale nonostante le baggianate dei loro piloti e dei loro collaboratori. A inizio stagione Ron Dennis si trovava in una situazione preoccupante. I suoi rapporti con la Mercedes, principale azionista della McLaren e sua fornitrice di motori, erano deteriorati per via dello scandalo seguito alla spy story ai danni della Ferrari. Con la Fia, la Federazione Internazionale, c'era il gelo, oltre che un debito di 100 milioni di dollari da saldare per chiudere la partita disciplinare. E sul fronte piloti Dennis si era ritrovato a dover mandar via un campione del mondo quale Alonso, vero motore dello sviluppo tecnico, e a puntare tutto su un Hamilton che era uscito con la schiena spezzata dal mondiale precedente, da lui gettato alle ortiche nelle ultime due gare. Se Ron Dennis fosse rimasto se stesso e avesse reagito con le tradizionali arroganza e presunzione probabilmente questo 2008 sarebbe diventato l'anticamera dell'inferno. Invece ha avuto l'umiltà di rinunciare al credo di una vita, ribaltando la situazione e trasformando la debolezza in forza. Ha smesso di fare tutto lui, dando spazio sia ai tedeschi sia al delfino Whithmarsh. Ha reimpostato il rapporto con la Fia, riuscendo a vincere la gara per la fornitura della centralina unica (che tanti vantaggi tecnici ha portato alla McLaren e tanti danni ha provocato alla Ferrari) e ad uscire dal mirino di Mosley. Ha fatto public relations con la Bridgestone (visto lo spot del gommista giapponese con Hamilton e la Mercedes?), sottraendola all'influenza ferrarista e spingendola a scelte tecniche che hanno avvantaggiato le sue macchine. Ha messo delle pezze sulla fragile psiche di Hamilton e ha avuto il coraggio di puntare tutto su di lui affiancandogli una schiappa come Kovalainen in modo da evitare di fargli sottrarre punti per mano del compagno di squadra, come è successo in Ferrari. Insomma, ha saputo costruire un contesto nel quale Hamilton potesse dare il massimo di quel po' che la sua macchina e lui stesso potevano dare. Certo, senza il rallentamento della Toyota di Glock a 850 metri dal traguardo di Interlagos neppure questo sarebbe bastato, perché Hamilton, di suo, era riuscito a perdere il titolo un'altra volta commettendo un errore che aveva permesso a Vettel di soffiargli il quinto posto che gli occorreva. Però è un fatto che è stato Dennis, con le sue scelte, a permettere alla McLaren di cavare sangue iridato dalla rapa-Hamilton. In quanto a Stefano Domenicali, il giovane Direttore della Gestione Sportiva ferrarista, non gli si può imputare la situazione che ha provocato la sconfitta di domenica. Raikkonen e Massa l'un contro l'altro armati se li è ritrovati in casa per volere di Jean Todt, che fino alla scorsa primavera aveva l'incarico di amministratore delegato dell'azienda. Non solo: anche l'organizzazione interna era, a inizio stagione, quella ereditata dal suo predecessore, con tutti i problemi legati alla permanenza di uomini dell'«ancien régime» accanto ai giovani leoni italiani del nuovo corso. Domenicali si è districato in questo scivoloso labirinto con consumata abilità politica ma anche col sorriso sulle labbra. Smussando e blandendo, e allo stesso tempo rimodellando in silenzio, ha riportato la Ferrari sulla cima del mondo e a stravincere un titolo Costruttori che le pecche di alcuni tecnici e dei suoi piloti potevano sottrarre alla fantastica F2008. A 850 metri dal traguardo Glock ha negato al giovane manager imolese anche il miracolo di portare in extremis all'iride un campione a singhiozzo come Massa. Ma è stato meglio così: adesso in Ferrari avranno tutti le idee più chiare su cosa va fatto per rendere permanente la svolta di metà 2008.

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