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Vi racconto l'uomo più veloce del futuro

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Uno che a 26 anni è stato convocato nello studio dell'ingegner Enzo per firmare il suo primo contratto con la Ferrari. «Era un altro mondo. Nel '67 non c'erano agenti, avvocati o altro. Eravamo io, lui ed il suo segretario Franco Gozzi. Il mondo delle corse è totalmente cambiato». Ricordi di quel momento? «Io ero un giovane pilota italiano, lui un capo d'azienda ma non certo un imprenditore come lo intendiamo oggi. Era un mondo più piccolo, più provinciale, ma quel DNA Ferrari era forte e si è mantenuto fino ad oggi». Che presidente era Enzo Ferrari? «Ragazzi che carisma! La sua vita era la Ferrari. Era sempre a Maranello. Non veniva mai alle corse, ma non si perdeva una prova. Era completamente immerso nell'attività della squadra, se c'era una necessità era lì pronto ad ascoltarti. Era un uomo preciso, rispettoso delle procedure ed estremamente saggio. Io lo definisco un "artigiano per nascita, industriale nel modo di gestire la sua creatura"». Coi suoi meccanici e dirigenti che tipo era? «Si viveva terra terra. Averlo lì presente mentre si cambiava una gomma o mentre si davano delle disposizione certo metteva soggezione. Mauro Forghieri, ad esempio, si è beccato tanto del suo...carisma! Il rapporto era pesante ma profondo. Non c'era ironia sul lavoro, anzi c'era una sorta di cappa: tutti dovevano fare il proprio con estrema precisione». Dire Ferrari significa dire vittorie. 15 titoli piloti, altrettanti costruttori. Dalla doppietta di Ascari nel 1952-3 al dominio di Schumacher (5 titoli) e Raikkonen. Ma dopo Scheckter ci fu il buio per un ventennio. Periodi diversi, anche per i piloti... «Con Scheckter, Enzo aveva dimostrato che la macchina contava più del pilota. Prima, invece, negli anni '50-'60 lui sapeva benissimo che fiutare un buon driver voleva dire fare la differenza, vedi Ascari e Fangio. Ma poi la musica cambiò: Scheckter andava forte, ma non era un campionissimo. Enzo capiva il momento in cui era necessario cambiare qualcosa e le sue scelte erano sempre conseguenze di fatti diretti, anche per non perdere il suo ruolo centrale». Oggi quale sarebbe il pilota preferito da Enzo Ferrari? «Faccio dei paragoni. Hamilton mi ricorda Villeneuve, Alonso invece Alboreto. Ecco, loro due. Come giovane dico Vettel». Eclettico e pragmatico al punto giusto, avrebbe azzardato Valentino Rossi per ricalcare ciò che fece Surtees? «Al bar di Maranello avrebbe detto: "Prendo Rossi". La mattina dopo avrebbe chiesto a Valentino di inserirsi in una struttura e non avere atteggiamenti "particolari". Se ci stava, l'avrebbe tenuto. Dirò di più, se tutto andava bene con uno come Rossi sarebbe andato a nozze». E Schumacher? «Sarebbe stato il suo pilota ideale, senza ombra di dubbio. Magari avrebbero avuto degli scontri all'inizio, ma poi ne avrebbe fatto un'icona. Era un grande business-man, altrimenti non avrebbe costruito ciò che ha costruito». Ecco, appunto. Senza di lui cosa sarebbe la F1 italiana? «Se fosse morto negli anni '60, non so se oggi avremmo la Ferrari che abbiamo. Fu abilissimo a programmare con debito anticipo la fusione con la FIAT e con l'avvocato Agnelli, facendo sedere al tavolo delle trattative anche la Ford. Enzo, poi, ha passato il testimone a Montezemolo, uomo che è riuscito addirittura a migliorare ciò che era stato fatto». Non a caso la Ferrari è l'unica casa automobilistica che vanta continuità nei mondiali di F1. «Scuderie storiche come Lotus, Maserati, Brabham sono scomparse. La Ferrari no, merito di quel DNA trasmesso dall'ingegnere».

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