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Lotito: "Costruisco un nuovo stadio e rilancio la Lazio"

Lotito

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 Domenica scorsa il calcio italiano ha vissuto l'ennesima tragedia: non c'è un pò di responsabilità anche da parte delle società in tutto questo? «La mia posizione è chiara da tempo: le società per troppo tempo sono state condizionate da persone che, in forza del tifo, hanno assunto un condizionamento legato ad altri fini. Credo che il supporto del tifoso sia fondamentale, ma dal punto di vista passionale, della spinta emotiva, del rapporto empatico. Come presidenti dobbiamo portare avanti i valori del club: i valori della Lazio fanno parte integrante del nostro modo di essere da oltre 108 anni». I numeri di oggi, raffrontati a quando lei ha preso la Lazio quali sono? «Oggi la società produce 16 milioni di euro, ha un indebitamento in linea con la convivenza del fatturato». É quantificabile? «La Lazio ha un indebitamento di 123 milioni di euro, con circa 100 milioni spalmati nei prossimi 18 anni. Questi sono i debiti complessivi della Lazio, come abbiamo evidenziato nell'ultimo comunicato del 30 marzo. Nei 123 milioni sono compresi 97 milioni di euro che fanno parte della transazione che abbiamo effettuato con il Fisco. La gestione di questa società da quando sono presidente ha puntato molto sul recupero dei valori autentici dello sport, del rispetto delle regole, della cultura della trasparenza e della legalità. Quando sono subentrato avevamo debiti per 550 milioni, nonostante ciò la società ha fatto investimenti patrimoniali importanti: quando sono arrivato non avevamo neppure undici giocatori da mandare in campo per la finale della Supercoppa di Lega. Non c'era uno staff tecnico, uno staff sanitario, non avevamo nulla. Oggi la Lazio ha un patrimonio giocatori molto importante, un'intera squadra intera in prestito, con giocatori importanti come Makinwa, Foggia, Stendardo, Inzaghi e Bonetto». Quali valori può dare alla società il mondo del calcio? «Il calcio e lo sport in assoluto debbono essere usati come un elemento attivo, ovvero come un elemento educativo in una società dove c'è l'assenza totale di punti di riferimento soprattutto per i giovani che non hanno più la famiglia in grado di seguire la loro formazione. Non esiste più la scuola, la figura dell'insegnante elementare, un secondo padre, colui che occupava l'altra metà della giornata nella quale il giovane non era seguito dalla famiglia. Non esistono più gli oratori che consentivano una crescita interiore, spirituale, che insegnava a discernere tra ciò che era giusto e quello che era sbagliato. Non esistono più i partiti politici che formavano delle regole, giuste o sbagliate che fossero. Oggi i giovani hanno una crisi di identità che sfogano - soprattutto coloro che vivono un disagio sociale - allo stadio che rappresenta una grossa cassa di risonanza, anche mediatica. In questo modo acquisiscono una loro identità, con la logica del branco, facendo delle iniziative in rottura completa con il sistema per affermare un proprio valore in totale rottura con le regole. La squadra di calcio deve sopperire a questa carenza di punti di riferimento creando un elemento di formazione, di educazione nel rispetto delle regole e della cultura della legalità. Alla Lazio lo stiamo facendo da tempo. Siamo presenti nelle scuole attraverso una serie di iniziative con i giocatori. Intraprendere un percorso di cambiamento non è una cosa semplice perché significa sradicare dei comportamenti che sono diventate abitudini. All'inizio questa mia presa di posizione era considerata "bohemien", oggi viene condivisa. E mi riferisco non solo ai valori morali, ma anche alla condivisione del salary cap, alla necessità di costruire degli stadi nuovi, a una struttura che rappresenti la casa del tifoso. Parlo della cittadella dello sport come elemento di identificazione del tifoso». A che punto è arrivato con il suo progetto di risanamento della Lazio? «Siamo nella fase di rilancio. Abbiamo una coda importante del piano Baraldi, ma abbiamo chiuso una transazione significativa con la Banca di Roma. Non a caso lo testimoniano anche gli investimenti fatti dalla società. Da quando ci sono io come presidente, la Lazio è una delle società che ha investito maggiormente sul mercato. Qualora decidessimo di esercitare il diritto di riscatto sui giocatori ci sarebbe un investimento complessivo di 53 milioni di euro, lo scorso anno ci fu una spesa complessiva di 34 milioni di euro salvaguardando il patrimonio. A parte Oddo non ho venduto nessun giocatore. Oltre ad aver risanato, abbiamo capitalizzato. In passato ci criticavano per il mancato acquisto di alcuni giocatori, temono che i giocatori che ho portato possano essere ceduti: mi riferisco a Pandev, ma io non ho mai messo in vendita i giocatori, se non quando il calciatore non era più in linea con il progetto. Nemo profeta in patria: ma la Lazio in altri ambienti viene riconosciuta come un punto di riferimento. Questa società è diventata un punto d'arrivo per tanti giocatori che militano in altri campionati. Ma questa cosa in Italia non ci viene riconosciuta». In questo senso vi stanno aiutando poco i risultati che sta ottenendo la Roma. «Sono abituato a valutare i risultati paragonandoli tra costi e benefici. Alcuni club, non faccio i nomi, spendono 200 milioni d'ingaggi, chi ne spende 180, chi ne spende 140 e chi ne spende 97. La Lazio spende 17 milioni di euro. Chi applica il sistema calcio? Se la mia squadra ha disputato una partita in meno in Champions League e questa partita in meno costa il 600% in più, non vedo come la nostra gestione non possa essere in linea con i valori dello sport. Poi, alla fine, qualcuno vince: e le vittorie sono fatte di trofei. La Lazio è ancora una società in convalescenza, non possiamo aspirare a vincere: sarebbe come un atleta che, dopo aver avuto la broncopolmonite, ha la pretesa di vincere una maratona. Fino ad ora dovevamo prima rimetterci nelle condizioni di poter correre. D'ora in poi inizieremo a correre anche noi. E comunque, da quando sono io presidente, in proporzione temporale, sono quello che ha vinto più derby di tutti. O sbaglio?». Il tecnico della Roma Spalletti ha dichiarato che avete speso molto più della Roma ma avete 27 punti di distacco dai giallorossi. «Allora non è vero che sono un presidente che spende poco? Ma come, mi chiamano "Lotirchio"? Se lo riconoscono gli altri, allora non è vero che non sto investendo per questa squadra. Noi stiamo facendo investimenti oculati: non puntiamo al quotidiano, puntiamo al futuro. L'Arsenal sta dimostrando che il modello nostro è un modello vincente, è solo una questione di tempo. Oggi la Lazio può cominciare a rivedere un futuro diverso e riacquisire quel ruolo che gli compete dal punto di vista calcistico a livello internazionale, anche perché ci sono le premesse. Il paradosso è che quando ci confrontiamo con le squadre forti, vinciamo. Dobbiamo rivedere alcuni aspetti, perché i fattori che concorrono alla vittoria non sono solo legati alla potenzialità agonistica. Altrimenti i club che spendono tantissimo raggiungerebbero sempre grandi risultati. La Lazio in questa stagione è stata penalizzata dagli infortuni. Il mercato di riparazione è stato fatto, non per rinforzare la squadra, ma per integrarla. Prima accadeva alla Lazio, oggi sta accadendo anche ad altre squadre. Guardate ad esempio a quello che è successo alla Roma con il Manchester. Una squadra che non può utilizzare alcuni elementi, subisce anche qualche riflesso psicologico importante. E queste cose si riflettono sui risultati». Non crede che la Lazio, con gli acquisti di gennaio, avrebbe potuto fare un altra figura in Champions League? «L'inserimento di alcuni giocatori, concordato con lo staff tecnico, è stato effettuato non solo per accrescere il potenziale agonistico ma per ricreare una dialettica - che si era persa - all'interno dello spogliatoio. Quando una squadra viene rappresentata come una squadra debole che poi raggiunge un certo traguardo, gli elementi di questa squadra sentono di aver dato più delle loro possibilità. Questo crea, nei giocatori, il convincimento di aver già dato. Per cui, parecchie persone pensavano di aver dimostrato, e quindi, di non dover più nulla da dimostrare. Questo processo ha causato una caduta psicologica, di concentrazione. Non a caso io ho sempre parlato, nei momenti difficili, di una necessità di recupero di umiltà da parte del gruppo». Calciolpoli è stato un male necessario? Ora i campionati sono regolari? «Calciopoli è stata la storia di una morte annunciata. Faccio parte della Lega, se mi accorgessi di qualcosa di irregolare lo rappresenterei alle istituzioni preposte. I risultati sono l'espressione dei valori che esprime il campo». Cosa bisognerebbe cambiare nel mondo del calcio? «Quando sono diventato presidente della Lazio mi ero prefisso due obiettivi: la transazione con il Fisco e la costruzione di un nuovo stadio. Il paradosso del sistema calcio è che la nostra attività si regge sull'attività imprenditoriale di un terzo, ovvero delle televisioni. Se i dirigenti delle tv dovessero alzarsi una mattina e decidere di investire cifre inferiori, la differenza da chi verrebbe colmata? Oggi Sky investe 654 milioni, se domani decidessero di investirne soltanto 500, il delta di 154 milioni necessario a coprire gli stipendi già sottoscritti, chi li paga? Si può portare avanti un'attività che dipende da un terzo? É assurdo. Dobbiamo affrancare la dipendenza economica del mondo del calcio dai diritti televisivi attraverso la realizzazione degli stadi. É solo un problema di volontà politica. Non a caso, fino ad oggi mi sono scontrato con dei retaggi particolari. La realizzazione di uno stadio, patrimonializza, risolve i problemi economici e verrebbero preservate le norme sulla sicurezza». Ritiene che il progetto stadio sia realizzabile? «Sì, ma deve esserci la volontà politica di realizzarlo. Mi pare di capire che i due candidati a sindaco si stiano muovendo in tal senso: Alemanno ha inserito il progetto stadio nel suo programma elettorale. Poi ognuno raccoglie ciò che semina. Il problema stadio non riguarda solo la Lazio ma tutto il sistema calcio. L'Atalanta farà il suo stadio, la Sampdoria avrà una nuova struttura, io lancio l'idea, poi la Lazio non può realizzarla. Non abbiamo preso nulla dal Comune a differenza di altri, io penso di aver dato qualche cosa a questa comunità. In passato qualcuno si è arrogato il merito di aver salvato la Lazio, io ancora sto aspettando queste persone che ci avrebbero aiutato: io mi giro e non vedo nessuno. Chiedo soltanto di esser messo nella condizione di fare una cosa leggittima: non chiedo favori. Mi sembra assurdo che in un piano regolatore del Comune di Roma che prevede un'espansione urbanistica di 70 milioni di metri cubi non sia previsto il progetto per la costruzione di un nuovo stadio. Io ho la disponibilità di 500 ettari sulla Tiberina - all'interno del comune di Roma - che potrei conferire gratuitamente alla Lazio per costruire un nuovo impianto: se i terreni fossero stati all'interno del comune di Fiano Romano paradossalmente sarebbe stato meglio. Lo stadio è una conditio sine qua non. La Roma non ha un'impellenza immediata, la Lazio non ha visto niente, o sbaglio? La Cittadella dello sport della Roma? Non fatemi parlare della Roma, parlo solo del mio club». Qual è la situazione con Delio Rossi? «Quando sento queste cose, sorrido. Rossi l'ho scelto io contro il parere di tutti. Nel momento in cui l'allenatore era ingiustamente nel mirino di alcuni organi, la prima cosa che ho fatto è stata rinnovargli la fiducia offrendogli il rinnovo di contratto. Non c'è nessun problema di nessuna natura: le scelte tecniche future verranno fatte con Delio Rossi. Da qui a breve farò un punto della situazione insieme al tecnico e al direttore sportivo per iniziare a pianificare la nuova stagione». Dopo il suo ingresso nella Lazio le altre sue società hanno avuto molti meno appalti con gli Enti locali. Dipende da una questione politica? La Lazio l'ha acquistata grazie a Storace? «Primo: i contratti che io avevo non li ho chiusi sotto la gestione Storace. E questo è documentato. Da quando è cambiata l'amministrazione, proprio perché mi hanno connotato in una certa maniera, è iniziata la guerra a Lotito. Su questo vorrei sorvolare perché se dovessi fare una disamina dei problemi dovrei scendere nel dettaglio e verificare se le scelte sono state fatte nell'interesse pubblico o meno. Ho avuto solo danni da quando faccio il presidente della Lazio. Questo mi ha esposto a posizioni strumentali. Oggi c'è un binomio della politica contro di me: una persona che dice la verità è una persona ingombrante. Secondo: ho preso la Lazio senza l'aiuto di Storace, con i miei soldi». Presidente, perché non si è candidato? Perché la politica non l'ha voluta? «Scusi, mi sembra che la domanda è mal posta. Non ho mai chiesto a nessuno di candidarmi». Non era andato a una manifestazione di Berlusconi a Milano? «Sbaglia, passavo in piazza San Babila e ho visto movimento in un teatro. Mi sono affacciato per vedere che cosa stava accadendo e sono andato via. Ma lei davvero pensa che se mi fossi voluto candidare non l'avrei fatto?»

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