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Ritorno nel tempio

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Infine, il leggendario tempio di Wembley riapre le sue porte, offrendosi nuovamente all'ammirazione dei calciofili di tutto il mondo, tifosi e addetti ai lavori: ripropone un modello difficilmente imitabile all'attenzione generale, impone un'altra pagina di storia, altrettanto suggestiva rispetto a un passato glorioso. Londra, in tema di impianti calcistici, non può essere paragonata a nessuna delle altre metropoli che ospitano il calcio ad alto livello: con una miriade, variabile secondo il meccanismo delle promozioni e delle retrocessioni, di squadre dotate di impianti da invidiare. Specialmente da parte nostra, che paghiamo i ricorrenti errori in fatto di ristrutturazione ma anche di creazione di stadi, magari inadatti al calcio, dal punto di vista degli spettatori, però in grado di arricchire appaltatori di comodo. Un caso unico, Wembley, secondo i nostri modelli, impianto destinato a ospitare in esclusiva le partite della Nazionale inglese e anche le finali di quella F.A. Cup la cui conquista vale in Inghilterra quanto, e forse più, di una vittoria in campionato. Proprio in riferimento a questa manifestazione c'è un po' d'Italia da affidare alla storia, perché nell'ultima finale ospitata dal «tempio» londinese, prima del trasferimento nel Galles, la vittoria andò al Chelsea di Gianluca Vialli e Gianfranco Zola, avvenimento da celebrare visto che i tifosi dei «bleus» i soldoni di Abramovich non li intravedevano neanche all'orizzonte. Poi la demolizione, con tante polemiche fin dal progetto, le storiche torri che non avrebbero trovato posto nella versione avveniristica, in termini architettonici ma anche funzionali, del nuovo impianto. E ci sarà ancora Italia nella suggestione del ritorno alla vita di quello che può essere considerato un monumento, e sia pure un veste restaurabile, del calcio internazionale, non soltanto di quello inglese. L'inaugurazione vedrà in campo le maglie azzurre dei nostri Under 21 opposti ai pari età di casa, un'amichevole a livello giovanile che forse non avrebbe suscitato il minimo interesse se non si fosse verificata la coincidenza con la riproposizione di un mito troppo a lungo forzatamente accantonato. Per ragioni puramente anagrafiche (purtroppo) di quello stadio, che metteva a brividi già quando sia era ancora all'esterno, in mezzo alla folla sciamante dalla stazione della metropolitana, conservo molti ricordi: tutti piacevoli anche quando il risultato era stato in contrasto con i naturali auspici. Ma le immagini più vive nella memoria rimangono quelle della finale mondiale del 1966, finora unica conqusta reale degli inventori del football. Prima della gara, che sarebbe stata risolta a favore dei padroni di casa da una svista macroscopica del guardalinee sovietico Bakhramov, una lunga mattinata, dedicata alla celebrazione di una leggenda dello sport come Muhammad Alì e onorata da tutta una schiera di grandissimi campioni del passato, lontano o più recente. La nota curiosa, nelle sette-otto ore trascorse allo stadio, l'assiduo passaggio dal sole pieno alla pioggia battente, quasi a intervalli regolari, fenomeno sorprendente per i continentali, ma non per gli imperturbabili gentlemen di casa. Ma logicamente, da ricordare anche serate che hanno parlato di festa per i nostri colori, la più celebrata quella del 1973, il gol di Fabio Capello a decretare la prima, storica vittoria azzurra in casa degli inglesi e a suscitare grandi speranze, poi crudelmente disilluse, per il Mondiale tedesco dell'anno successivo. E poi la vittoria, fase eliminatoria di Francia '98, siglata da un grande gol di Gianfranco Zola: che si sarebbe guadagnato poi, in Inghilterra, popolarità e amore a un livello che la sua patria di origine gli aveva stupidamente negato.

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