Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Il regista confida nella vittoria del Mondiale «Con Lippi prepariamo meglio le partite»

default_image

  • a
  • a
  • a

Stazza e fisique du role, per Andrea Pirlo, non sono mai state quelle del divo del pallone: il tiro però sì, e anche le «giocate difficili» che provava nella sua prima squadretta già a sei anni e mezzo, sorprendendo tutti. Un pò come la fa sfoderando grinta e coraggio, 48 ore dopo il gran gol con il quale ha aperto il Mondiale azzurro. «I ventitrè milioni di italiani che ci hanno seguito in tv fanno molto piacere - dice il regista azzurro - ne abbiamo parlato anche tra noi. Dobbiamo riportare la Coppa del Mondo in Italia per questa gente». Davvero la Coppa? Un obiettivo così esplicito nessuno mai, in questa nazionale, l'aveva fissato. Arriveremo lontano, ce la possiamo giocare fino in fondo, nessuno ci fa paura: tanta scaramanzia e una cautela un pò di maniera nelle frasi del gruppo Italia. E invece eccola, dal più timido, la frase che tutti si aspettano: semplice, diretta, come i suoi colpi in campo. «Ho sempre cercato le cose difficili, i lanci illuminanti, da quando avevo sei anni e mezzo: me lo diceva il mio primo allenatore, Gino Bolsieri..». Giorni felici, quelli dell'US Filero: squadra del paese di nascita, 8.000 persone e un pugno di chilometri da Brescia, i primi calci e a sedici anni già la nomea da «fenomeno», con il passaggio alle giovanili del Brescia. Felice il papà, proprietario di una «fabbrichetta» di metallo, felice Deborah, la «morosa» di Filero che poi sposerà Andrea. Che felice, nonostante la faccia un pò mogia, lo è completamente solo ora. «Lucescu mi lanciò in prima squadra a 15 anni: mi chiamavano fenomeno, o piccolo genio. Me lo diceva sempre il mio primo maestro, Gino Bolcieri. Poi per un periodo sono sparito - racconta - Evidentemente non era il mio momento, ma quando sono stato pronto, sono arrivato. E non mi sono mai sentito un genio incompreso». Sarà per il passaggio a vuoto - facile dirlo - nell'Inter, o per il ruolo sbagliato: numero 10, lui che più che l'assist o la giocata sin da pulcino cercava il lancio nello spazio, per giocate siderali. «A questo Mondiale - racconta ora che si è riappropriato del suo ruolo di giocatore cardine - sono arrivato senza paure: la stagione era quella che era, un calo l'avevo notato eccome. D'altra parte, se giochi cinquanta partite e non ti fermi mai...Ma lo sapete che sono il centrocampista italiano più marcato in assoluto, tra campionato e coppe?». Se ne sono dimenticati i ghanesi, che infatti in occasione del gol lo hanno lasciato solo: come aveva chiesto il figlio, Niccolò. «Per la prossima - ride papà Pirlo - non mi ancora chiesto nulla. Spero, per scaramanzia, mi richiami prima degli Usa. Però questa volta me ne deve chiedere due, di gol». Però non fa solo quello, il Pirlo ritrovato. «Recupero palloni, tiro a rete, lancio: questo l'ho sempre fatto, è il Mondiale che lo fa ricordare a tutti...». E poi è un piacere farlo in un'Italia molto diversa da quella che il centrocampista ha conosciuto a Euro2004: «La differenza di Lippi? Prima non preparavamo così bene le partite». Apparentemente difficile, in realtà molto semplice da raccontare. Di diverso, però, non c'è solo l'Italia. C'e anche Pirlo. A ricaricare le pile dopo tanta frenesia, per uno così pacato bastava in fondo poco: «Dopo il campionato, mi sono fermato qualche giorno: un pò di relax, ho staccato, come si dice. E con questo ero certo che mi sarei presentato al Mondiale così come so». Cioè da leader azzurro. «Non è la nazionale di Totti, non è la nazionale di Pirlo: è l'Italia di tutti». Ovvero di tutti quelli al quale il placido Pirlo, zitto zitto, vuol riportare la Coppa.

Dai blog