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L'OSSERVATORIO

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Soltanto così si spiegano i fantasmi che vanno e che tornano: tra questi ultimi Vincenzino Montella, atteso al gol dal 24 aprile scorso e subito in grado di dare una svolta importante alla partita, soprattutto sotto il profilo psicologico. Perché da quel momento, in vantaggio su quel campo stregato, i romanisti hanno cominciato a crederci, a dimostrare di poter gestire anche il pallone a terra e sfruttare gli spazi secondo schemi prediletti. E prendendo così ad allontanare gli altri spettri, quelli dell'impossibilità di fare amicizia con lo stadio di San Siro, avarissimo di gioie perfino nell'anno dell'ultimo scudetto. Contro l'Inter, poi, la Roma non riusciva a vincere da queste parti dal lontano 1994, quasi undici anni dopo il felicissimo e celebratissimo autogol di Festa. Ripresa fiducia, la Roma ha dimostrato di poter giocare, quando la determinazione e l'umiltà la sostengono: specialmente quando ha di fronte una formazione da vertice, di quelle che finora non aveva mai affrontato, scontando peccati di presunzione e di superficialità. Quando, dopo il capolavoro di Totti applaudito perfino dalla platea nerazzurro, è arrivato il terzo gol, si è rivista purtroppo la Roma meno illustre, quella incapace di tenere palla e dunque di alleggerire una pressione che si era fatta frenetica. Dentro Adriano, altre sofferenze, giustificate per quel miracolo balistico a restituire speranze all'Inter, non nuova a rimonte straordinarie, ma certo non ci voleva l'infortunio del nuovo arrivato, Doni, per altro bravo in altre occasioni. Nel finale da corrida, Rosetti ha cacciato Veron, il guardalinee ha punito, ingiustamente, anche Totti, che non ci sarà contro l'Ascoli. Ma è comunque troppo poco per offuscare una gioia attesa da tanto tempo e per restituire quella serenità che potrebbe costituire la base per un rilancio stagionale e per un recupero delle posizioni sognate alla vigilia e mestamente allontanate da troppe distrazioni. Da dimenticare.

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