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Da Di Bartolomei storia di una fucina di fenomeni

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Questo piccolo centro della provincia veronese si era guadagnato il suo spazio di popolarità, tra gli Anni Trenta e gli Anni Quaranta, come incredibile fucina di campioni, fino a divenire quasi una leggenda. Era un calcio artigianale, dunque più disposto ad affidarsi alle risorse della provincia e magari, più tardi, alle geniali intuizioni di qualche imprenditore, come il patron della Spal Paolo Mazza. Poi anche le metropoli hanno imparato ad apprezzare le risorse dei vivai propri, a valorizzare talenti entrati in organico a tasso zero, anche quando i cartellini erano a vita e gli ingaggi venivano ridiscussi anno per anno, senza che iniziative personali mettessero in discussione il vincolo. La Roma ha giustamente costruito una tradizione, sui suoi ragazzini. Penso che il primo esempio illustre riconduca a un quindicenne tesserato grazie a una leva giovanile a Testaccio. Veniva da Frascati, si chiamava Amedeo Amadei, avrebbe esordito in Serie A a sedici anni, entrando a far parte della storia della Roma, e del suo primo scudetto, dopo un fugace prestito all'Atalanta. La Roma dovette fronteggiare una mezza sommossa popolare quando esigenze di bilancio, guarda un po'!, la costrinsero a cederlo all'Inter: arrivarono soldi e in più due giocatori buoni, Tontodonati, centravanti, e soprattutto Tommaso Maestrelli, vivo nella memoria dei romani. Poi, rimpiazzando a distanza di anni quel Campionato Riserve utile a dar spazio a chi non trovava posto in prima squadra (le sostituzioni erano ancora lontane), fu ufficializzato il torneo Primavera, che avrebbe visto quasi puntualmente la Roma in una posizione di privilegio, con la conquista di cinque tricolori e di varie Coppe Italia di categoria. Di qui il culto del vivaio, da anni ormai affidato alla supervisione di Bruno Conti, con l'onestà e l'innato senso del talent-scout che gli vengono riconosciuti, e non soltanto dai molti amici. Proprio dal vivaio aveva preso le mosse, Bruno, verso una carriera luminosa che l'avrebbe portato a diventare il solo giallorosso a fregiarsi dei titoli di campione d'Italia e campione del mondo al tempo stesso. Naturalmente, nella valorizzazione delle risorse giovanili della Roma è risultato fondamentale il ruolo svolto da Niels Liedholm, che aveva un occhio particolare per individuare i talenti destinati al successo. Nessuna esitazione nel dare fiducia a gente come Francesco Rocca e Franco Peccenini, quest'ultimo straordinario giocatore frenato da gravissimi infortuni. Ma soprattutto, nel cuore del tifo romanista rimangono vivissimi il ricordo, e il rimpianto, per Agostino Di Bartolomei, il capitano del secondo scudetto, l'eterno ragazzo che avrebbe rifiutato la vita per non dover sopportare le delusioni provocate dalla umana iniquità. «Il più grande tiratore di tutti i tempi dalla media distanza», lo aveva definito Liedholm: bravo a far credere a tutti che Agostino giocasse da libero, mentre in realtà era Vierchowod il tappabuchi, l'altro a costruire in centrocampo la ragnatela mortale. La gente ha memoria corta: e anche un idolo come Agostino soffrì l'amaro della contestazione quando il Milan gli offrì un ruolo di prestigio che la Roma non era più disposta a garantirgli. La gratitudine non è nell'animo del tifoso becero: ne prendiamo atto, in questi giorni bui. Ma almeno, lasciateci, dolci nella memoria, i campioni straordinari di quel vivaio. Gia. Giu.

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