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di GIANFRANCO GIUBILO QUANDO un grande campione annuncia la volontà di dire basta, un minimo di incertezza rimane.

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Ma francamente, ripensando alla carriera e soprattutto alle convinzioni di Roberto Baggio, si ha l'impressione che questa sarà realmente l'ultima stagione per l'ormai ingrigito codino di Caldogno. Ultima stagione che è anche la ventesima in un primato mica da poco, al quale vanno aggiunte le tre stagioni in C/1 con il Vicenza. La stanchezza, insomma, è più che comprensibile, ma forse la decisione di mollare sarebbe stata ancora procrastinata se la fase conclusiva della carriera non fosse stata segnata da troppi guai fisici. Guai che hanno colpito soprattutto le articolazioni, rendendo penoso ogni recupero e suscitando, da chi ha avuto tutto dal suo gioco preferito, l'inevitabile domanda: chi me lo fa fare? Nella sua lunghissima cavalcata attraverso il calcio italiano, Roberto Baggio ha conosciuto tutti gli umori del tifo e della fortuna. Quello che ha ottenuto, in termini economici e di popolarità, se lo è puntualmente guadagnato, le contestazioni nei suoi confronti sono state determinate più da quei complessi di odio-amore che in altri campi coinvolgono la vita di un uomo, che da reali appigli offerti alla critica. Gli è stata addebitata perfino una propria fedeltà ai colori, dimenticando quante siano state le stagioni vissute in viola, cinque come quelle dedicate alla Juventus. E il Brescia, suo punto d'approdo soprattutto per il legame con Mazzone, lo allinea per la quarta stagione consecutiva nel suo organico, tradizionalmente povero di nomi così illustri. Le grane, i contrasti, gli umori diversi, quasi sempre causati non da lui, professionista esemplare come gli detta anche la sua convinta adesione al buddismo, che non ammette compromessi morali, ma proprio dai suoi fedelissimi. Giocatore di risorse tecniche incredibili, non sempre comodo per chi gestisce una squadra secondo i principi del collettivo, sempre più consacrati negli ultimi anni. E dunque al centro di polemiche e di valutazioni contrastanti: fino alla querelle della mancata partecipazione al Mondiale in Oriente. Ora finiranno anche le chiacchiere vuote e i dibattiti fini a se stessi. Nell'attesa di godersi queste ultime gemme, conserveremo il ricordo di quanto ci ha regalato. In termini calcistici, ma soprattutto con esempi da uomo vero. Capace di comprendere la storia interpretata con poche parole, mai banali, e tanti fatti illuminati da omaggi straordinari all'estetica. Ma forse, come accade in Italia, di lui si ricorderanno di più il «sei matto?» al Sacchi del Giants Stadium o il rigore fallito di Pasadena. Coraggio, Roberto, è il destino dei grandi.

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