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di PAOLO DANI LE BANDIERE a mezz'asta.

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Il foglio a quadretti scritto da un bambino. Le buste chiuse, indirizzate semplicemente ai «Carabinieri». E tra l'omaggio della gente comune, quello del mondo dello sport. È un pomeriggio triste quello in Viale Romania, sede del Comando Generale dell' Arma dei Carabinieri. È un pellegrinaggio alla spicciolata che porta decine di mazzi di fiori sotto le due grandi bandiere alla sinistra dell'ingresso. Poco dopo le 15, anche i fiori e la commozione dello sport. Una piccola delegazione, che arriva quasi in punta di piedi. Ci sono Gianni Petrucci e Raffaele Pagnozzi, presidente e segretario generale del Coni, ma anche atleti. Grandi come Diana Bianchedi, 15 ori nella scherma, e Giuseppe Gibilisco campione del mondo di salto con l'asta. Famosi come Damiano Tommasi e Stefano Fiore, o meno noti come il pugile Vincenzo Cantatore e i canottieri Gabriella Bascelli e Bruno Mascarenhas. A rappresentare i campioni del passato, Klaus Dibiasi. Gibilisco e Cantatore depongono un grande cuscino di fiori bianchi e rossi, con un nastro azzurro: «Il Coni e gli atleti italiani». Un piccolo applauso, poi tutti via mentre dal portone principale entra il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini. Lo sport in Italia non sarebbe quello che è se non ci fossero i militari ed i Carabinieri. È per questo che lo sport è qui. Anche se mercoledì sera a Varsavia non si è fermato come qualcuno chiedeva. E Stefano Fiore condivide la sensazione della scelta inopportuna: «La scelta di giocare è stata sicuramente discutibile». Il centrocampista della Lazio non era con gli azzurri, ma fu costretto ad andare in campo a Istanbul per la Champions League nella notte dell'11 settembre 2001 dopo la tragedia degli attentati in Usa. Gli azzurri hanno rivelato di aver giocato con il peso della strage di Nassirya nella testa. E Fiore ricorda le terribili sensazioni di due anni fa: «Non si può pensare a giocare dopo quello che è successo. A noi toccò l'11 settembre. Non puoi fare una partita senza che la testa sia rivolta alla tragedia». Damiano Tommasi preferisce non parlare. Accompagnato dal generale Martino, il romanista si trattiene solo per la durata della brevissima cerimonia. Gianni Petrucci spiega la presenza: «Il mondo dello sport non può che soffrire per il lutto nazionale più grave del dopoguerra. Con il rapporto che lo sport ha con le forze militari questo era il minimo che potevamo fare». Non si doveva giocare neanche per Massimo Moratti. «Era una situazione difficilissima, non c'era la voglia nè di giocare nè di veder giocare. Lo spirito era di tutt'altro tipo, ma non voglio entrare nelle decisioni della Figc. Evidentemente c'erano degli obblighi e degli impegni già presi, ma è stata una serata veramente dolorosa». Di parere opposto, invece, il milanista Rino Gattuso. Nessun «senso di colpa per aver giocato Polonia-Italia. Nessuno di noi era contento di farlo, ma quello per noi è lavoro così come le rispettive attività lo sono per altri - ha detto il centrocampista del Milan e della nazionale - Nessun'altra attività si è fermata in Italia, non ad esempio la Borsa o la stampa. Diverso sarebbe stato se nel nostro Paese fosse stata giornata di lutto nazionale. Il Parlamento? Sì, ha sospeso i suoi lavori in segno di lutto, e poi ha ricominciato. Esattamente come noi con il minuto di raccoglimento». Anche per Bazzani, attaccante della Sampdoria alla sua prima chiamata in azzurro si mostra d'accordo con la scelta di andare in campo: «Se le autorità competenti hanno ritenuto che la nazionale dovesse giocare, significa che si trattava della cosa giusta anche per noi calciatori». Domenica, a meno di ribaltoni dell'ultim'ora, si giocherà l'amichevole contro la Romania. L'incasso della partita sarà devoluto alle famiglie delle vittime italiane dell'attentato di Nassirya. A riguardo si è mossa anche la Lega Calcio, che ha deciso di devolvere l'annuale budget riservato alla cena e ai regali di Natale alle famiglie delle vittime dell'attentato.

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