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di FRANCO MELLI ANNODARE valutazioni lusinghiere su Roberto Mancini è un pò come collezionare ...

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Tecnico derivante dal fantasista strepitoso cui volle sovrapporsi, l'eversore del Benfica ha già oscurato culturalmente i colleghi più reclamizzati nell'hit parade di riferimento, senza vantare ancora quel medagliere che in genere caratterizza lo stratega destinato a fare scuola. E dopo le oscenità estive fra istituzioni sgangherate, questa sua Lazio-champagne rappresenta subito una felice anomalia, un mondo che rigenera solo stati d'animo legati all'arte calcistica. Tentiamo l'approfondimento, oltre l'entusiasmo portoghese che gli innamorati importano grazie all'acquisita Champions League da quarta forza europea: dentro Mancini abita la vocazione di migliorare tutto e tutti, prerogativa didattico-psicologica particolarmente sviluppata quando deve guidare allievi poco capiti, vecchie glorie declinanti e club condannati al fallimento chissà quanto durevole. Proprio ciò che trovò nella defunta Fiorentina, prima di togliere il disturbo causa l'ambiente irrespirabile; e, in misura esponenziale, a Formello, mentre evaporava l'opulenza cragnottiana. Dentro Mancini prevale l'esigenza di mettere gli interpreti al servizio dello spettacolo corale, attraverso prove ossessionanti e comunque flessibili non appena scatta l'idea alternativa. E il trionfo dell'altra notte, premio professionale all'audacia tattica che sublima l'addestramento, sventaglia significati irrintracciabili nell'ultracentenario melodramma laziale. Quali precettori avrebbero affrontato con identica spavalderia il retour-match? Forse l'Arrigo Sacchi dei fasti milanisti. Forse l'indimenticabile Maestrelli, rassicurato da un bomber d'area esplosivo e da sprechi energetici meno frenanti nel secolo scorso. Forse l'Arsenal- bella époque. Così diventa facile scorgere le trasformazioni che avvicinano l'organico ai soliti potenti, prescindendo dal blocco storico trattenuto per prolungare gli incanti dell'ultimo campionato. Basta prendere Cesar, Oddo e Fiore, modelli paradigmatici e talenti rifiniti nonostante la resa dei loro precedenti maestri. Basta aspettare al top Albertini, radar d'una corazzata che tormenterà il Chelsea stellare griffato Abramovich, salvo affondare Sparta Praga e Besiktas da degna testa di serie. Poi, se Luca Baraldi aggiungesse Chevanton, sarebbero meraviglie a raffica. Forza, completiamo il capolavoro nato da un miracolo d'ingegneria finanziaria.

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