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Wake Up Dead Man - Knives Out: Daniel Craig nell'enigma più cupo della saga

Francesca Pica
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Se amate i gialli che mettono alla prova l’intuito dello spettatore, quelli che invitano a formulare ipotesi e a seguire ogni dettaglio come fosse un indizio, “Wake Up Dead Man” è il titolo da non perdere. Appena approdato su Netflix, il terzo capitolo della saga Knives Out riporta in scena Daniel Craig nei panni impeccabili dell’investigatore Benoit Blanc, questa volta alle prese con un caso più cupo e stratificato del solito. Al suo fianco, in un affascinante gioco di contrasti, compare Josh O’Connor, coprotagonista intenso e magnetico che accompagna Blanc in una nuova caccia alla verità, tra ambiguità morali e colpi di scena.

Diretto ancora una volta da Rian Johnson, questo terzo episodio segna un deciso cambio di tono rispetto ai capitoli precedenti. Dopo l’ironia affilata di Knives Out e il divertito gioco metanarrativo di Glass Onion, Wake Up Dead Man imbocca una strada più oscura e riflessiva, senza rinunciare all’identità che ha reso la saga uno degli appuntamenti investigativi più interessanti degli ultimi anni.

Il titolo, quasi biblico, anticipa l’atmosfera del film: crepuscolare e gotica. Il fulcro emotivo del racconto è Padre Jude, ex pugile segnato da un passato di violenza, inviato in una parrocchia dell’upstate New York per collaborare con il carismatico ma inquietante monsignor Jefferson Wicks, predicatore feroce convinto che la fede debba nascere dallo scontro, dal peccato e dalla rabbia. Quando Wicks viene assassinato in circostanze apparentemente impossibili, Jude diventa subito il sospettato ideale. È a questo punto, nel cuore dell’azione, che entra in scena Benoit Blanc, chiamato dalla polizia per districare una rete di segreti, sospetti e verità taciute. La forza del personaggio resta intatta: l’intelligenza acuta, il linguaggio ricercato, la capacità di leggere le persone prima ancora dei fatti, ma qui Blanc sembra muoversi in un territorio meno ludico, dove ogni deduzione ha un peso emotivo più profondo.

Siamo di fronte a un giallo da camera chiusa, nel solco della tradizione di Agatha Christie. Se la regina del mistero ha consegnato al Novecento la figura di Hercule Poirot, Rian Johnson modella per il terzo millennio un detective che ne raccoglie l’eredità adattandola al presente. Benoit Blanc si conferma così come uno degli eredi più riusciti del detective deduttivo classico: osservatore raffinato, interprete delle contraddizioni umane prima ancora che risolutore di enigmi. 

Johnson dimostra un controllo maturo del materiale narrativo, spingendo il suo protagonista verso territori nuovi e utilizzando il giallo come lente per interrogare il mondo contemporaneo. Il regista gioca ancora con le regole del genere, ma privilegia il sottotesto all’effetto sorpresa fine a sé stesso, trovando nella riflessione su fede e religione una combinazione sorprendentemente efficace. Il risultato è un film dai toni autunnali, visivamente raffinato, capace di rassicurare lo spettatore: la tradizione del giallo non è morta, ha semplicemente cambiato eroe.

Come da tradizione, Wake Up Dead Man si fonda su un cast corale ricco e variegato, ciascuno portatore di segreti e contraddizioni. La saga Knives Out conferma così la propria vocazione a trasformare il mistery in un sofisticato gioco d’insieme. Accanto ai tre protagonisti principali, il film schiera una serie di comprimari solidissimi, ciascuno dotato di un’identità precisa, mai ridotta a semplice funzione narrativa. Spicca, tra tutti, una superba Glenn Close, che fin dalla prima apparizione regala al film una pennellata di talento, ironia e carisma.

Insomma, l’ex James Bond, con i capelli più lunghi e una leggera barba bianca non solo risolve un enigma, ma osserva tutto senza giudicare. È in questo sguardo lucido e compassionevole che il film trova la sua vera forza: ricordarci che la verità, come la fede, è un esercizio costante di attenzione. E forse, proprio per questo, Wake Up Dead Man è il capitolo più maturo e inquieto dell’intera saga.

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