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Coronavirus, il virologo Giorgio Palù: "Fare attenzione ma con l'aria non ci si contagia"

Il virus non vola libero nell'aria, quando non è all'interno delle cellule è sempre in un fluido

Massimiliano Lenzi
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“Il virus non vola libero nell'aria, quando non è all'interno delle cellule è sempre in un fluido. Quindi nell'aria che noi respiriamo in un ambiente esterno, beh trovare il virus di fuori è difficilissimo, proprio per queste ragioni”. A parlare in questa intervista a “Il Tempo” è Giorgio Palù, professore di Microbiologia e Virologia all'Università di Padova ed ai Dipartimenti di Neurosciences and Science and Technology, Temple University, di Philadelphia, negli Stati Uniti. Professor Palù, fuori per strada che succede? Ci becchiamo il virus nell'aria? “Nell'aria esterna c'è il sole, c'è la temperatura e c'è la radiazione ultravioletta che ammazzano il virus. Quindi questo esperimento, citato ieri sui giornali, effettuato presso il laboratorio di dinamica dei fluidi del Massachusetts Institute of Technology (Bourouiba L., JAMA March 26, 2020), è uno studio che non riguarda la dispersione del virus nell'aria misurata sperimentalmente. Esso analizza invece l'emissione di una nuvola gassosa prodotta da uno starnuto umano e descrive le componenti particellari di questa nuvola. Essa è costituita non solo dalle goccioline mucosalivari più pesanti, quelle che cadono a terra ad un metro dal soggetto che le ha emesse, ma anche da goccioline molto più piccole, inferiori al micron di diametro.  Queste, in forma di aerosol, potrebbero diffondersi a distanza finanche a 7 metri dalla sorgente di emissione, ed essere potenziale veicolo del virus. Si tratta  come detto di un assunto teorico e di un'informazione già nota in letteratura anche se per quanto si conosce dai vecchi studi con virus respiratori questi hanno per principale  veicolo le particelle più grandi (droplet)”. Provi a spiegare meglio per i nostri lettori? “Il lavoro del MIT non ha misurato l'infettività di quello starnuto, perché si tratta di uno studio difficilissimo da fare. Ha teorizzato la distanza cui può arrivare il materiale particellare emesso da uno starnuto, in particolare, sotto forte pressione”. Queste mascherine vanno messe, non vanno messe, vanno messe in determinate situazioni: ci dia il suo parere? “Le mascherine chirurgiche non è che proteggono un granché, sono le FPP2 e le FPP3 che proteggono di più impedendo a chi è infettato di infettare altri soggetti. Le FPP3 sono più sicure perché ultrafiltranti e proteggono anche chi le indossa. Però anche queste andrebbero usate e il giorno dopo buttate via. Non dovrebbero essere toccate sulla superficie esterna né appoggiate su superfici contaminate visto che, ovviamente, se vi si appoggiano sopra le dita e poi le dita vengono involontariamente a contatto con la mucosa orale, nasale o congiuntivale,  ci si può infettare. Quindi vanno usate correttamente”. Agli italiani e alle italiane cosa consiglia sulle mascherine? “All'italiano e alle italiane io consiglio sempre quello che consiglio a me stesso: quando esco di casa per necessità e mi vengo a trovare in un ambiente (supermercato, farmacia) dove c'è altra gente uso sempre la mascherina e tengo la distanza minima di anche più di un metro”. E più facile venire a contatto col virus in ospedale o in casa che fuori all'aperto? “Assolutamente sì. È chiaro che ci può essere una trasmissione aerea: se lei forza la ventilazione in una stanza che ha una persona positiva al suo interno, e quello stesso condotto poi viene utilizzato nell'aria condizionata che come sa ha dei condotti che hanno dei buchi di millimetri, lì il virus lo si trova ed e già stato dimostrato. Questo è quello che è accaduto a bordo della nave Diamond Princess”. Anche in qualche ospedale? “Sicuramente, anche in qualche ospedale”. Secondo lei sul coronavirus non circolano troppi pareri scientifici in Italia? “Questo dipende anche da voi dei giornali, dei media: non dovete andare a cercare una sinfonia, una molteplicità di voci, perché non è questa molteplicità che fa una informazione corretta e seria e rigorosa. Ma è dare la parola a poche persone, competenti, anche per non frastornare la gente”. L'Istituto superiore di sanità non dovrebbe parlare per voce sola, e gli altri cosiddetti  esperti zitti? In Germania l'Istituto Koch è la fonte sulle notizie dei contagi, punto. “Io penso proprio di sì, come avviene all'estero. Ci sono comunicatori preparati. Tutte le mattine in Germania ad una trasmissione televisiva parla in forma divulgativa al pubblico Christian Drosten, un noto virologo, e non fanno parlare finti virologi e il resto. In Italia i dati di Borrelli andrebbero commentati da un virologo o da un epidemiologo dell'Istituto superiore di Sanità, in questo caso Gianni Rezza. E poi basta, nessun altro che parli. Non i talk show e il resto. Che non si commenti a vanvera. Un unico commentatore ufficiale, epidemiologo o virologo, ma che sappia il fatto suo. Punto”.  

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