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Parlare di se stessi per capire e curare al meglio la propria malattia

Medicina

La Medicina Narrativa fortifica la pratica clinica e aiuta medici e terapisti a migliorare la cura.

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Raccontare se stessi e la propria malattia. Si chiama medicina narrativa, la storia del paziente al centro della diagnosi. Sembra una rivoluzione, ma in realtà riporta il paziente e il proprio vissuto al centro della diagnosi e della cura di tutte le patologie. Per sapere davvero di cosa si tratta occorre però scomodare Rita Charon, fondatrice di questa pratica clinica, docente di Clinica medica e direttrice del programma di Medicina Narrativa della Columbia University di New York: “La Medicina Narrativa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere sensibilizzati dalle storie della malattia; aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l'efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessione, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi”. Oggi tutto questo si affaccia anche alla chirurgia estetica. Sono tanti a non piacersi. Lo dice anche un sondaggio online promosso dal dottor Paolo Mezzana, Specialista e Dottore di Ricerca in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica, Responsabile dell'Ambulatorio di Dermatologia Oncologica della Casa di Cura Marco Polo di Roma. Dati alla mano, l'82% delle intervistate non si sente bella e quasi il 35% cambierebbe più di una cosa del proprio aspetto. Evidentemente i dati non rispecchiano la realtà, ma ci parlano di una condizione di disagio estetico che prescinde da un reale difetto. “Non basta valutare un difetto estetico per decidere di correggerlo - afferma Mezzana - Ho deciso di ascoltare le storie dei miei pazienti in modo molto approfondito perché mi sono accorto negli anni, esercitando la professione, che spesso i difetti che vedevo io durante una prima consultazione non erano la reale causa del loro disagio: nonostante un naso deforme e lungo, il paziente richiedeva di correggere una lieve protrusione delle orecchie. Il paziente, dunque, ha sempre qualcosa da dirci”. E la voglia di sentirsi a proprio agio passa anche per mille interventi di chirurgia. Anche se poi spesso, come appariamo agli altri, non ha niente a che fare con il nostro equilibrio psicologico. E anzi, spesso nasconde disagi ben più gravi: insicurezza, insoddisfazione, ricerca della perfezione, bisogno di piacere che non si interrompono mai. “Qui entra in gioco il racconto che ci viene fatto dal paziente, le sue abitudini di vita, il suo passato, il suo rapporto con gli altri e con il proprio corpo. Solo dopo questa attenta analisi si potrà procedere all'intervento estetico, con armonia, nel rispetto delle forme e della personalità di chi ci sta chiedendo aiuto”, continua Mezzana che mette il dito su un tasto delicato come la bulimia estetica, visto che “i chirurghi plastici correggono, gonfiano, aspirano, tagliano, sperando di frenare quell'insoddisfazione che c'è sotto. Ma la soddisfazione non si raggiunge mai. È momentanea, è un'illusione: poi ricomincia. A volte si sposta un malessere dell'anima sul proprio corpo: è più facile addormentarsi e far lavorare il chirurgo, piuttosto che prendersi la responsabilità di lavorare su di sé”.

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