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"Patisce er core mio" senza Gabriella Ferri

Gianluca Dodero
Gianluca Dodero

Presidente dell'associazione Passione Romana. Comunicatore, cultore e divulgatore di Romanità. Sono anni che scrivo di Roma, su Roma, in maniera disomogenea, frammentaria e istintiva. Sin da bambino nutro nei suoi confronti una passione divorante, un amore che va oltre il parentale. Da bambino piangevo ogni qualvolta ne vedevo i monumenti, poi ho iniziato a percorrerla a piedi. Chilometri su chilometri su chilometri e sono solo all'inizio. Perchè Roma è un cammino. Non si esaurisce il legame per lei nella mera conoscenza del suo aspetto e dei suoi luoghi, nelle pieghe della sua millenaria storia. Per trovare le risposte alle domande che questa città Misteriosa ci pone, bisogna avere Fede.

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“Patisce er core mio ma nun dispera, me frega assai che Gabriella se ne è annata, io mo me butto a fiume e bonasera!” Cara Gabriella, le tue fattezze fisiche, diventate immateriali ma iconiche, sui muri, sugli adesivi, sulle magliette, da 15 anni non sono più oggetto di idolatria da parte dei tuoi fan. Eppure la tua anima, che coincide con quella di Roma, è ovunque. Non solo a fiume, sulla banchina risalendo a Ponte o pe' Panico. Non solo nell'Urione, nella Roma sparita dei nonni o anche dei genitori. La tua anima si esprimeva tramite la tua voce e quella voce la possiamo ritrovare ieri, oggi e per sempre non solo nell'odore di certi sughi semplici che si spande per certi androni di certi palazzi, non solo nella socialità latente di questi tempi digitali, non solo nella carezza data ad un anziano o a un bambino, non solo nella sofferenza di chi non si sente amato o rispettato. Ovunque Gabriella, perché la tua voce compone assieme ad altre espressioni canore, artistiche, umane lo spirito di Roma, che è irriducibile e eterno. Le tue canzoni sono come le satire di Giovenale, come le parole marchiate su carta di Stendhal e Goethe durante i loro soggiorni romani, sono come le espressioni istrioniche di Albertone e Aldo Fabrizi, sono come le fojette tracannate dai tanti Gasperini e carbonari che hanno vissuto “tiranno a campà”, come le passatelle, le interiora, la dolce e romantica sfacciataggine dei bulli e il paraculismo in fondo innocente di Rugantino, o gli stenti di Gaetanaccio. O l'eterno splendore delle opere d'arte scolpite nei nostri marmi. “Nun ce sta più na farfalla,l'aria via via se corompe, er monno è l'ultima palla che j'è arimasta da rompe..”. Tu sei ancora una farfalla, pura, rara, sensibile. C'è solo una differenza tra te e noi. Tu eri “la più” de tutti noi. Umana sì, con le tue debolezze, come noi. Ma il meschino che è in ognuno di noi tu invece riuscivi a spazzarlo con la tua voce. Hai toccato le nostre corde più profonde, perché sei sempre stata libera e hai deciso di volare in alto, più su di tutti. Hai fatto capire al mondo, che oltre a quel senso di superiorità insito in ogni romano - tradotto in passione e animosità - c'è anche una profonda orma di malinconia. Un po' perché se nasci qui è difficile fare i conti con uno schiacciante passato, reggere il paragone con i giganti tuoi avi, vivere tra i resti imperiali di una città che ha segnato i destini dell'umanità quando la vedi in realtà così piccola, limitata, animata da così bassi propositi. Una ambivalenza che ti fa costantemente oscillare tra il pensare “come ha fatto ad attecchire la spiritualità nelle sue forme più alte proprio qui?” e il “come avrebbe potuto attecchire in un altro posto del mondo, se non a Roma?”. Tu sapevi tutto questo e molto di più e hai deciso di cantarlo e cantandolo di cantarti e cantarci. Perché le tue canzoni siamo noi. Hai tolto qualsiasi maschera, qualsiasi sovrastruttura e ci hai pugnalato ar core: ogni canzone è motivo di commozione o di felicità pura. Non ti sei trincerata dietro alla nostra ironia sferzante, tagliente e cinica, né dietro alla spavalderia più bulla. 15 anni fa' ti sei spenta, ci hai mostrato il tuo vero volto e abbiamo capito tutto: il tuo canto resterà sempre il grido dell'anima del popolo Romano!

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