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Ospedali, è finita la pazienza di medici e infermieri. Scioperi e rivolta contro Zingaretti

Antonio Sbraga
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È una sanità laziale da «ricovero», sull’orlo di una crisi di nervi a causa dei montanti «stati di agitazione», proclamati e minacciati da medici, infermieri, tecnici e operatori socio-sanitari di organici sempre più carenti, ormai a rischio-collasso. A refertarlo sono gli stessi medici («nel Lazio, in 20 anni, sono diminuiti del 12%, quantifica la Cgil): ieri il principale sindacato degli ospedalieri, l’Anaao, ha minacciato «la messa in atto di tutti i provvedimenti, fino alla proclamazione dello stato di agitazione, idonei alla tutela della sicurezza professionale» dei camici bianchi. Perché, «alle molteplici dichiarazioni da parte dell’Assessorato, che affermano il potenziamento della Sanità Pubblica e dei servizi offerti, corrisponde da parte della stessa il blocco assunzionale per i medici - denuncia l’Anaao - Il reclutamento di specialisti durante la prima ondata pandemica in realtà ha solo parzialmente sanato le profonde e ormai croniche carenze di personale e, pertanto, non può e non deve costituire un elemento sufficiente per prevedere che l’attuale evoluzione della gestione della pandemia possa essere fronteggiata con le attuali dotazioni organiche». Anche Cgil, Cisl e Uil avvertono la Regione che «la condizione del personale è ben oltre il limite della sostenibilità e, dopo due anni e mezzo di stato di emergenza e carichi di lavoro massacranti, in moltissime strutture si è costretti a ricorrere alle prestazioni aggiuntive, mentre si parla di rimaneggiamento delle ferie e di raddoppio dei turni del personale. Modalità di gestione inaccettabili e spesso incomprensibili».

 

 

Le prestazioni aggiuntive sono quelle richieste ai dipendenti oltre il normale orario di lavoro (come al San Giovanni-Addolorata dove, per «poter garantire la continuità assistenziale», si pagano i medici «60 euro lordi per un’ora e 480 per l’intero turno notturno»). Ma quasi tutte le aziende ormai ricorrono a continui bandi per le manifestazioni d’interesse per affidare incarichi a tempo determinato («il precariato è aumentato dell’87% nel servizio sanitario» nell’ultimo ventennio, stima la Cgil), come nell’Asl Roma 2. Dove lo stesso direttore della Medicina d’Urgenza e P.S. (Pertini, Sant’Eugenio e Cto) «rappresenta la gravissima carenza di personale medico con conseguente grave difficoltà nel garantire le cure in sicurezza ai pazienti che accedono al PS. Dal mese di ottobre 2021 ben 6 medici hanno abbandonato per trasferimento o dimissioni volontarie, mentre due risultano assenti per lunga malattia»: urge, quindi, «l’assunzione in tempi brevi di un numero adeguato di medici». Ma hanno risposto solo «un medico specializzato e 13 specializzandi», che verranno assunti per 12 mesi. Oppure si arriva all’ingaggio di medici in affitto da società private fino a 72 euro l’ora: nell’Asl Roma 5 da una cooperativa di Bologna («per l’aggravarsi della carenza di medici, maggiori costi sostenuti per la fornitura di turni di servizio guardia medica di PS diurna e notturna: importo di 227.950 euro relativa alla turnistica effettuata dalla Cooperativa CMP nel primo trimestre 2022)». Anche ai Castelli romani, dove «a tutt’oggi, a fronte di 36 unità da reclutare, sono state assunte solamente 3», dal dicembre scorso si ricorre alla «fornitura di medici di Pronto Soccorso per le esigenze della ASL Roma 6 - Affidamento alla Ditta International Medical System srl» per i 4 Ps di Anzio, Ariccia, Frascati e Velletri. Perché le emergenze più acute sono proprio nelle strutture d’urgenza: «I Pronto Soccorso nel Lazio sono ormai allo stremo con grande pericolo di collasso senza aiuti veri, immediati ed incisivi», rincara la dose un altro sindacato, la Simeu Lazio. Che da mesi rimarca la mancanza di «357 medici nei Pronto Soccorso del Lazio».

 

 

La Regione, che dopo la chiusura di 16 Ospedali-Pronto soccorso e 3600 posti letto (di cui 2177 a Roma) nei 12 anni di commissariamento della sanità indebitata, ha già il record negativo del più basso numero di strutture d’emergenza (sono solo 50: 23 Ps, 22 Dea di 1° livello e 5 di 2°) in proporzione al numero dei residenti. Con il conseguente risultato che i bacini d’utenza dei 50 Ps-Dea laziali sono più grandi del 30% rispetto al resto d’Italia (pari ad una media di 27.223 persone in più per ciascuna delle 50 strutture al confronto con quelle delle altre Regioni). Nel Lazio, infatti, c’è una media di 117.769 residenti per ciascun Ps-Dea a fronte di una media nazionale di 90.546 abitanti. Quindi, in proporzione, ci sono anche meno operatori sanitari: «Nella sanità del Lazio mancano 7.000 lavoratori e solo nell’ultimo anno e mezzo ci sono stati 4.600 pensionamenti. Mancano figure di assistenza, tecnici, amministrativi, professionisti, ausiliari. Da mesi siamo in attesa del bando di concorso per Oss, figura quasi sconosciuta nella nostra Regione, di cui è capofila il Policlinico Tor Vergata, così come delle selezioni per infermieri di emergenza, capofila Ares 118, ma tutto è fermo. Insabbiato, come i bandi concordati per dare certezze ai 3.500 precari assunti durante la fase acuta della pandemia. Ormai è palese a tutti in quale stato drammatico versi la sanità laziale. Non c’è azienda in cui non si lavori sul filo del collasso», avvertono i 3 sindacati, proclamando «lo stato di agitazione di tutto il personale della sanità pubblica regionale. Siamo pronti ad arrivare allo sciopero: non lasceremo che lavoratori e pazienti siano presi in giro da una politica che si fa beffe delle esigenze delle persone», concludono Giancarlo Cenciarelli, Roberto Chierchia e Sandro Bernardini, segretari generali di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl.

 

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