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Ponte di ferro crollato: colpa delle baracche e del degrado

Susanna Novelli
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«Incendio colposo». Potrebbe essere questo il reato da ipotizzare nel fasciolo delle indagini che la procura di Roma si appresta ad aprire, non appena ricevuta la relazione tecnica, di un disastro che rimarrà nella storia della Capitale. E non solo perché il «ponte dell’Industria», ribattezzato dai romani «ponte di ferro», nella realistica sintesi che il dialetto capitolino impone, si è incendiato come un fiammifero, provocando un danno memorabile all’architettura storica di un quadrante che, da stamane ne siamo certi, sarà prigioniero di un traffico inevitabile. Ma anche perché, probabilmente, quanto accaduto è dovuto all’incuria e al degrado. L’ipotesi ad ora più accreditata per spiegare quelle immagini terrificanti che scorrevano in diretta poco dopo la mezzanotte di ieri è quella dello scoppio di bombole di gas o di qualche fornelletto utilizzato dai senzatetto che da anni vivono in uno dei tanti, troppi, insediamenti abusivi proprio lungo le sponde del Tevere e in particolare proprio in quel punto, distante dai «riflettori» del centro. Ed è per questo che il «ponte di ferro» unisce in una triste metafora fuoco e politica. In una incredibile coincidenza avvenuta alla vigilia delle elezioni comunali.

 

 

Un emblema che nella storia elettorale è pari solo all’evento drammatico dell’uccisione di Giovanna Reggiani, rapita e ammazzata all’uscita della metro a Tor di Quinto da un romeno della baraccopoli adiacente. Un paragone forte, certamente, ma anche in quel caso, Roma era alla vigilia di una tornata elettorale che avrebbe consegnato le chiavi del Campidoglio a Gianni Alemanno e posto fine quasi per due lustri all’egemonia del centrosinista. Troppo facile puntare il dito, a maggior ragione farlo con i seggi ancora aperti, contro Virginia Raggi, troppo difficile tuttavia voltarsi dall’altra parte o, addirittura azzardare, come purtroppo hanno fatto alcuni esponenti grillini, all’origine «dolosa» dell’incendio, insinuando un fine elettorale. L’Italgas ha confermato che non c’è stata alcuna fuga dalle proprie condutture e anzi, il blackout che per quasi una notte intera ha interessato circa duecento famiglie dell’area Ostiense-Marconi, è stato risolto in tempo record. Così come lo straordinario lavoro delle decine di vigili del fuoco, arrivati sul posto quattro minuti dopo la chiamata, ma già in ritardo per evitare che le fiamme si propagassero per sette metri nella galleria dei servizi. Complice di una velocità inarrestabile proprio le sterpaglie sottostanti.

 

 

I carabinieri che seguono le indagini, hanno posto sotto sequestro un giaciglio sottostante, dove sono state rinvenute bombole di gas inesplose. Spetterà ora alla magistratura il compito di capire come e perché in un sabato sera affollato, in uno dei punti centrali della movida capitolina, sia potuto accadere che un ponte ad alta intensità di traffico abbia preso fuoco nel giro di pochissimo tempo. Il fato ha già fatto il suo evitando morti e feriti, che pure si sarebbero potuti contare a decine. Al prossimo sindaco il primo, arduo dovere, quello di ripristinare il «ponte di ferro». Simbolo, suo malgrado, di un ritorno alla normalità all’efficienza, alla competenza. Un «ponte» insomma dal quale ripartire e magari cancellare quelle baraccopoli che troppo spesso l’ipocrisia politica ha reso invisibili.

 

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