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Il pm: "Il commissario della penitenziaria ha detto il falso in aula per agevolare i Casamonica"

Valeria Di Corrado
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C'è stato un colpo di scena durante l'udienza di ieri nel maxi processo al clan Casamonica. Il sostituto procuratore Giovanni Musarò, durante la sua requisitoria, ha chiesto di trasmettere gli atti della deposizione resa davanti al Tribunale di Roma dal sostituto commissario della polizia penitenziaria, Luigi Giannelli, alla Procura affinché proceda per falsa testimonianza aggravata dalla finalità di agevolare il clan Casamonica. "Il teste Giannelli ha detto il falso. E non è plausibile che la sua svista sia stata il frutto di una dimenticanza, ma è stata una scientifica dichiarazione volta ad alleggerire la posizione di Giuseppe Casamonica, l'unico detenuto di cui ricordava tutto ciò che faceva in carcere - ha spiegato il pm - Voleva favorire l'intero clan, perché è chiaro che li conosce. La sua deposizione avrebbe infatti potuto mettere in grosso dubbio la credibilità dei due collaboratori di giustizia. Giannelli ha descritto l'area verde di Rebibbia come una via di mezzo tra una piccola Svizzera e Alcatraz, specificando che nel periodo dal 2013 al 2015 c'erano le telecamere e appena qualcosa non tornava si zoommava. Dichiarazioni che sembravano smentire quanto riferito da Debora Cerreoni".

La goccia che ha fatto traboccare il vaso - già pieno di umiliazioni e vessazioni fisiche e psicologiche - inducendo la Cerreoni a collaborare con la giustizia e a diventare una preziosa fonte della Procura nell'indagine "Gramigna" sul clan sinti, è stato proprio il pestaggio da lei subito il 13 maggio 2014 per mano del marito Massimiliano Casamonica nell'area verde del carcere di Rebibbia, dedicata ai colloqui dei detenuti che hanno figli minori. «L'ultima volta che andai a trovarlo a Rebibbia mi picchiò nell'area verde del carcere, perché sapeva non c'erano telecamere. Lì decisi di scappare. Andai a Bologna e denunciai tutto», aveva spiegato a gennaio 2020 la Cerreoni durante una delle 4 udienze in cui ha deposto davanti al Tribunale nel il maxi processo al clan Casamonica per associazione mafiosa, traffico di droga, usura, estorsione, detenzione illegale di armi. «I Casamonica a Rebibbia fanno il bello e il cattivo tempo. Se la comandano con le guardie», aveva confermato Massimiliano Fazzari, anche lui testimone di giustizia. 

 


Nell'udienza dello scorso 16 febbraio la difesa di Giuseppe Casamonica, fratello di Massimiliano, ha citato come teste Luigi Giannelli, che a Rebibbia ha svolto tutta la sua carriera: dal 1987 al primo luglio 2020, quando è andato in pensione. Descritto da Rita Bernardini dei Radicali Italiani come «una persona adorabile che ha il senso dello Stato (di diritto)», il sostituto commissario in pensione, sotto giuramento, ha riferito ai giudici che nell'area verde c'erano le telecamere di sorveglianza nel lasso di tempo temporale in cui venne picchiata la Cerreoni.

«Abbiamo quindi ritenuto di fare un accertamento ad ampio spettro e abbiamo dimostrato che le telecamere nell'area verde non c'erano nel maggio 2014 - ha riferito ieri il pm Musarò - Sono state installate nel novembre 2014 ed il motivo per cui sono state montate è indimenticabile e inaudito, roba da film dell'orrore: nel gennaio 2013 una detenuta (che stava a Rebibbia dal 2010) aveva detto di essere rimasta incinta perché durante un colloquio con il marito, anche lui detenuto nello stesso carcere, aveva avuto un rapporto sessuale nell'area verde. Come fa Giannelli a dimenticare un particolare del genere?». «Non si può credere che Giannelli fosse in buona fede. Anche perché a Rebibbia accade di tutto e lo sanno tutti - ha spiegato il magistrato - I detenuti evadono calandosi dai muri con le lenzuola, neanche nei fumetti di Topolino e della Banda Bassotti accadono cose del genere. A Rebibbia entrano telefoni e stupefacenti; i colloqui in area verde diventavano dei summit di mafia, come abbiamo visto per Salvatore Fragalà nel 2012".

 

 

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