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Ormai è guerra sui morti, pronta la denuncia per la Raggi. Ecco perché i cimiteri di Roma scoppiano

Valeria Di Corrado
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Ormai quella che sta andando in scena a Roma si può definire la «guerra dei morti». Le vittime «al quadrato» sono i defunti: lasciati in deposito per settima o addirittura «respinti al mittente» dal cimiteri per mancanza di posto nelle camere mortuarie. Insieme a loro, non trovano pace neanche i parenti, frustrati dall'impossibilità di dare ai propri cari la sepoltura desiderata: c'è chi è arrivato al punto di urlare la propria disperazione su manifesti sparsi per la città: «Scusa mamma se non riesco ancora a tumularti». 

 

 

In questa «guerra» si assiste a un vile rimpallo di responsabilità: il Campidoglio se ne lava le mani ricordando che i servizi cimiteriali sono gestiti da Ama, ma non fa nulla per vigilare sul rispetto del contratto di servizio. L'azienda municipalizzata dei rifiuti, che si occupa anche di morti (sic!), usa la pandemia come "scudo" e ogni volta annuncia l'incremento delle risorse amministrative, che però non arrivano mai. In realtà l'emergenza nei cimiteri romani c'era già prima del Covid. E in nessun'altra città italiana (nemmeno quelle lombarde, tra le più colpite dal virus) si è verificato questo collasso. Cosa c'è di più incivile in una comunità che non riesce a seppellire i suoi morti? Nel poema epico dell'Iliade persino l'ira di Achille si frena di fronte al rispetto per i morti: dopo aver vinto il duello con Ettore, accordò ai troiani 11 giorni di tregua per celebrare i funerali del suo eroe: fu cremato e le sue ceneri sepolte sotto un tumulo di terra. Invece nella Roma del XXI secolo farsi cremare è diventato un privilegio per pochi: quelli che arrivano prima.

 

Ama continua a sconsigliare di scegliere questo tipo di sepoltura. Lunedì scorso ha comunicato alle agenzie funebri che, a partire dal giorno successivo, non avrebbe accettato salme destinate alla cremazione perché le camere mortuarie del Verano e del Flaminio erano al completo. Poi, di fronte alle proteste delle agenzie funebri e dei parenti, ha fatto parzialmente marcia indietro. «Più di 2mila feretri sono custoditi in deposito nell'attesa di essere avviati all'inumazione, tumulazione o cremazione - si legge in una lettera inviata al prefetto di Roma Matteo Piantedosi dal responsabile della ditta Eccellenza funeraria italiana - Non meno di 5mila urne cinerarie devono trovare collocazione definitiva. Per autorizzare una cremazione occorrono più di 30 giorni, mentre per cremare e riavere le ceneri si possono attendere fino a 4 mesi».

 

 

 

Il direttore dello Stato Civile del Comune di Roma, Antonello Mori, ha comunicato il 12 aprile all'Associazione Imprese funebri riunite che «questo Dipartimento attualmente rilascia le autorizzazioni alla cremazione presentate da Ama entro 24 ore dalla trasmissione» e che Ama, «affidataria del contratto di servizio, a cui spetta l'istruttoria delle pratiche», «deve evadere le istanze ordinariamente in 15 giorni dal momento della domanda a quella del'effettiva cremazione della salma, e in 25 giorni nel caso in cui si verifichi un aumento del 10% del quantitativo medio mensile». Tempi che non collimano con quelli attuali. Assifur ha risposto a Mori ricordando che «in base al Dpr 285/1990 la cremazione deve e può essere autorizzata solo dal sindaco del Comune», riservandosi di presentare «una denuncia per omissione di atti d'ufficio».

Anche la Federazione nazionale delle Imprese di onoranze funebri ha sottolineato, in una mail inviata ieri ad Ama e Campidoglio, che «il sindaco del Comune di decesso è tenuto ad autorizzare il trasporto dall'obitorio al luogo di sepoltura» e che «ogni inerzia o impedimento» potrebbe configurare il reato di interruzione di pubblico servizio. Silenzio tombale dalla sindaca di Roma. Le agenzie domattina sfileranno con i carri funebri sotto il Campidoglio. Se la Raggi non trova una soluzione, questo potrebbe diventare il suo funerale politico. «Occorre riaprire gli uffici amministrativi, che sono parte in causa del disastro gestionale - dichiara il segretario nazionale Ugl Partecipate, Stefano Andrini - Bisogna interrompere o ridimensionare il numero di impiegati in smartworking».

 

«Non accettiamo più le salme provenienti da Roma, almeno finché non saranno in regola con le autorizzazioni». Fino a qualche settimana fa i forni crematori di Domicella (in provincia di Avellino) e Carpanzano (in provincia di Cosenza) erano l’ultima carta che una famiglia romana poteva giocarsi per far cremare il proprio caro. Ora anche loro hanno alzato bandiera bianca. «Non siamo il garage di Ama». Da dicembre scorso, infatti, l’azienda capitolina ha imposto un numero massimo di cremazioni settimanali al cimitero Flaminio: prima 200, poi 300; nonostante il capitolato stipulato tra Ama e Suprema Appalti srl - che gestisce le 6 linee di forno a Prima Porta - ne preveda da 60 a 75 al giorno (nei periodi più critici). Chi prima arriva (o meglio, chi muore prima) si aggiudica il posto. Gli altri sono costretti ad optare per un altro tipo di sepoltura. Anche se ora pure per le tumulazioni c'è la coda, visto che sono state sospese le estumulazioni (sempre per mancanza di personale) e se non vengono liberati i loculi, non c'è posto per i "nuovi arrivi". Nel sopralluogo dei carabinieri del Nas di due mesi fa al Flaminio era stata sequestrata una stanza dove si trovavano urna cinerarie "abbandonate" e nemmeno ben sigillate.

 

Per farsi cremare, quindi, ora non si può più optare nemmeno per il cimitero di un’altra città, perché gli impianti crematori del resto d'Italia accettano solo le salme con autorizzazione alla cremazione del Comune di provenienza. I gestori dei forni di Domicella e Carpanzano, per un periodo, sono stati gli unici a dare alle agenzie funebri romane la possibilità di tenere i defunti nelle loro celle frigorifero, anche per un mese, in attesa che arrivasse l’autorizzazione di Ama. E così, ogni giorno, partivano i carri funebri dalla Capitale verso la Campania e la Calabria, macinando centinaia di chilometri. Adesso, invece, non possono più farlo perché le salme dei romani hanno intasato anche le loro camere mortuarie.

 
«Stiamo facendo dei lavori per ampliare la stanza frigo, per portarla da 10 a 100 posti - spiega a «Il Tempo» Giuseppe Vintino, amministratore unico di Domicella srl, la società che gestisce il forno crematorio del Comune avellinese - Da noi arrivano salme da tutta Italia, abbiamo aiutato anche Brescia durante il lockdown del 2020. Questi ritardi nelle autorizzazioni ce li ha solo Roma. Tutti gli altri comuni le rilasciano in 24-48 ore. Noi abbiamo 5 linee di forno che funzionano tutti i giorni dell’anno dalle 7 alle 24 (l'impianto di Prima Porta, invece, la domenica non lavora, ndr). Riusciamo a cremare 40-50 salme al giorno, circa 350 a settimana. E ora abbiamo chiesto al Comune di Domicella di costruire altri due forni. Abbiamo tecnici formati in grado di risolvere qualsiasi problema in poche ore. Mentre so che al cimitero Flaminio molto spesso 2 dei 6 forni restano spenti per giorni a causa di guasti». Insomma, un paese di 1.800 anime riesce a dare lezioni alla Capitale d’Italia: ha un impianto efficiente, in cui le famiglie assistono tramite telecamere all’ingresso della salma nel forno. «Tre o quattro mesi fa - racconta l’imprenditore - Ama ci ha chiesto di fare un’offerta per cremare le salme che aveva in deposito. Abbiamo proposto un prezzo vantaggioso, ma non si sono fatti più sentire».

 

«Anche noi abbiamo dovuto dire stop ai defunti in arrivo da Roma, perché privi di autorizzazione alla cremazione - conferma Silvano Urciuoli, proprietario dell’impianto di Carpanzano (232 abitanti) - Non possiamo conservare le salme dai 30 ai 45 giorni in attesa dei documenti. Credo che il problema sia tra Ama e Campidoglio. Tutti gli altri comuni italiani dai quali ci portano le salme ci mettono 2 giorni. Le nostre due linee di forno funzionano h24, 7 giorni su 7. Abbiamo delle celle frigorifero che contengono 30-40 bare, ma non possiamo riempirle solo con quelle che vengono da Roma». Al Flaminio e al Verano, invece, vengono depositate in camere mortuarie non refrigerate. «La situazione diventerà pericolosa con l’arrivo dell’estate: non sarà un bel vedere e nemmeno un bel sentire».

 

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