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Roma, a 34 anni ucciso dal coronavirus. L'assurda morte di Emanuele

Originario di Cave, mai malato, ricoverato in terapia intensiva troppo tardi. Invece di negare sempre i fatti ora facciano i tamponi a tutti e inizino le cure se contagiati

Franco Bechis
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Ciao Emanuele. Eri un ragazzone, uno di quelli che scoppia di vita, che non riesce a trattenerla dentro. Ma te l'ha portata via il coronavirus l'altra notte a Roma, al policlinico di Tor Vergata. Sei volato via tu, a 34 anni, sano come un pesce fino a dieci giorni fa, e tutti giuravano che no, a te, a chiunque come te non sarebbe accaduto. Era lo zero virgola per cento delle possibilità, e oggi come si fa a spiegarlo a papà Guglielmo e mamma Franca che ti piangono a Cave insieme a tutto il paese che non ti ha mai dimenticato? Emanuele lavorava in un call center a Roma, giornate dure, ripetitive, che poi ti fanno amare di più la vita quando esci di lì. Era riuscito a ritagliarsi qualche giorno di pausa per un week end lungo a Barcellona (dal 6 all'8 marzo). Al ritorno era andato al lavoro, ma già a sera non stava tanto bene, così il giorno successivo è restato a casa. Sembrava una influenza, e non lo era. Ma ci sono voluti giorni per capirlo, e anche quando la salute sembrava aggravarsi la ricetta è stata quella che tutti dicono perfino nelle conferenze stampa serali della protezione civile affiancata dagli esperti della sanità italiana: «stare a casa e isolarsi». Fare un tampone? Ma no, non è necessario. Se iniziassimo a fare tamponi a tutti, sai dove va a finire la nostra sanità? Ne hanno fatti molti al Nord, ne fanno a tappeto in altri paesi come la Francia e la Germania. Ma qui no, nel Lazio in particolare proprio no. Sono tutti terrorizzati di avere troppi malati in carico non potendoselo permettere. Così quando il virus ha gridato: «A quel paese burocrati e sistema sanitario» e ha fatto il suo ruggito potente, non c'è stato più scampo per Emanuele che oggi è la più giovane vittima registrata a Roma.  Nelle prossime ore faranno l'autopsia ad Emanuele, alla ricerca di qualche altro male che lui non sapeva di avere. Perché tutte le sere ci sentiamo ripetere la stessa solfa: ogni giorno se ne vanno centinaia di italiani e non è mai colpa del coronavirus. A sentire loro hanno tutti «comorbilità» (altri malanni) importanti che sono stati la vera causa del decesso. Tanto è che ad oggi perfino fra i 3.456 caduti in Lombardia non ce ne è manco uno che sia morto ufficialmente di Covid -19, perché non esiste la certificazione ufficiale dell'Istituto superiore di Sanità. Abbiamo sentito dire una sera che uno dei pazienti deceduti al di sotto dei 40 anni «aveva il diabete ed era obeso». Però quel poveretto con obesità e diabete aveva convissuto benissimo, curandosi fino al giorno prima di essere contagiato dal coronavirus. Non c'è quindi da essere grandi esperti di medicina per capire che questo virus sia letale in molti casi, e che la morte è causata dal contagio e non da altro. Lo dicono sia i numeri che la legge marziale varata passo dopo passo dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ti sembra che se quel virus non fosse una minaccia alla vita di migliaia di italiani il premier avrebbe fatto straccio della Costituzione e della libertà dei cittadini come è accaduto? Perché allora ostinatamente si negano i morti di coronavirus contro ogni evidenza? La risposta è tragica, ma non posso non fornirla: perché il nostro sistema sanitario non è in grado di curare quei malati come dovrebbe essere fatto. Non si fanno i tamponi per non prenderli in carico (salvo se tu hai un nome importante, perché a quelli non si nega: è stato fatto a tutti i vip che lo hanno chiesto), li si prende in carico tardi quando poi sì la fragilità dell'individuo ha un suo peso. Temo che in aree del Paese dove i numeri sono enormemente superiori alla disponibilità di posti, non si insista con la terapia intensiva per tutto il tempo che sarebbe necessario e che ad esempio in Germania salva la vita a tanti anche quando sembrava compromessa. E' un po' come se si staccasse la spina dopo pochi giorni di coma, e allora certo si muore anche quando ci sarebbe stata possibilità di svegliarsi magari la settimana successiva. E' un incubo in cui ci ha precipitato non il virus, ma la storia delle nostre classi politiche al comando, che hanno distrutto anno dopo anno la Sanità italiana. Qui nel Lazio forse ragazzoni come Emanuele e non più ragazzi potrebbero avere più chance di farcela se venissero presi in carico e curati dal sistema sanitario al primo sintomo, che dovrebbe essere verificato subito con un tampone. Vi supplico, aprite ogni centro e posto letto disponibile per farlo. Magari un po' meglio di quanto accaduto in uno dei Covid gloriosamente annunciato, l'Eastman, allagato nelle notti scorse da guasti nelle tubature fallate e già quasi fuori uso, con lenzuola e garze lì ad asciugare le pozze d'acqua, prima ancora di partire.

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