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Il Campidoglio vende i gioielli di famiglia

Il sindaco Gianni Alemanno

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«Scendono dal pero» anche stavolta diversi, autorevoli politici capitolini. Al di là delle necessità di cassa, sempre più pressanti, gli eletti in Campidoglio e alla Pisana si sono forse scordati che c'è una legge, il decreto Ronchi, che obbliga gli enti pubblici a scendere sotto il 30% di quote di partecipazione nelle società di servizi. Eppure un consiglio straordinario su Acea, del 24 novembre del 2010, aveva affrontato proprio questa "rivoluzione" economica e culturale. In quella seduta si parlò di una «maxi holding», di vendere il 40% «entro il 2011» dell'Ama e che «le quote Acea non saranno mai vendute per fare cassa». Parole che si ripetono a due anni di distanza. Per quanto riguarda Acea, il sindaco ha comunque affermato che «si deciderà il 14 marzo, quando la giunta esaminerà il bilancio». In questo caso si tratterebbe di cedere il 21% delle sue quote, ora al 51%. Per il resto tutto tace. Silenzio sull'Ama (che prima o poi gestirà i rifiuti) e sull'Atac. La battaglia, al momento è tutta sull'azienda di piazzale Ostiense. La più "ricca", trattandosi comunque della società che eroga acqua, luce e gas praticamente in regime di monopolio. Un particolare questo che dovrebbe comunque far riflettere. Così, tra gli annunci di guerra dei sindacati e la proposta di referendum della sinistra, rispondono i colleghi del centrodestra. «L'unica svendita che ricordiamo fu quella della Centrale del Latte operata dal centrosinistra negli anni '90 - ricorda il presidente della commissione Bilancio, Federico Guidi - non è nostra intenzione ripercorrere gli errori commessi da altri, ma al contrario procedere, se sarà opportuno farlo, in maniera trasparente e condivisa nell'interesse della città».   Entra nel merito, il vice presidente della stessa commissione ma dell'opposizione, Alfredo Ferrari (Pd): «Riguardo alla dismissione delle quote Acea, è necessario concentrarsi sulle modalità che il Comune deciderà di seguire. Sulle quotate, infatti, la legge prevede, così come indicato nel 23 bis, la possibilità di trattativa privata con un investitore privilegiato. Alemanno deve chiaramente indicare quale procedura seguire. Si è arrivati a ipotizzare che l'amministrazione possa dismettere subito il 21% delle quote: l'accelerazione lascia presumere che il sindaco abbia già individuato il soggetto a cui lasciare l'azienda. Sulle altre aziende, invece, bisogna aspettare il decreto di fine marzo e la delibera che ne deriverà». La notizia forse è qui. E in pochi non scommetterebbero sul nome di Caltagirone.

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